Il terzo settore e gli enti no profit: i confini di una riforma

Il terzo settore e gli enti no profit: i confini di una riforma
Novembre 18 16:41 2022 Print This Article

La riforma del terzo settore, avviata con Legge delega 6 giugno 2016 n. 106 (Delega al Governo per la riforma del Terzo Settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale), in attuazione della quale è stato varato, tra gli altri, il D. Lgs. 3 luglio 2017 n. 117, cd. Codice del terzo settore (CTS), pare stia avviandosi verso una svolta epocale a mano a mano che la macchina del RUNTS si muove e si assesta. Come noto, gli step da compiere sono ancora tanti perché si possa parlare di compiuta e piena attuazione dell’ambizioso programma riformatore.

Gli aspetti coinvolti nella riforma sono tali e di tale portata che non è immaginabile una trattazione unitaria e compiuta in un’unica volta di tutte le problematiche. Gli studi, le ricerche, le guide e i vademecum proliferano ovunque. I profili civilistici, fiscali, contabili e amministrativi si intrecciano e complicano la materia, rendendo a volte difficile orientarsi.

Si spera un po’ per volta di riuscire ad affrontare questioni nodali e offrire spunti pratici utili a chiunque voglia vederci un po’ più chiaro, al servizio sia di coloro che intendano operare nel No profit sia di coloro che, per professione, si confrontano con l’argomento giorno per giorno.

Terzo Settore e No Profit: sono tutti ETS ex D. Lgs 117/2017?

La prima precisazione da fare è di natura terminologica. Abituati come siamo a far coincidere il Terzo Settore con l’intero spettro del No profit, ci troviamo ora un po’ in difficoltà a collocare quest’altra apparentemente nuova definizione: Enti del Terzo Settore.

Sono questi ultimi un’entità differente? e se sì, differente da cosa?

Molto in sintesi, storicamente, sociologicamente, economicamente, il Terzo Settore, nel senso tradizionale del termine, quindi a prescindere dalla riforma, è nato come territorio a metà strada tra o Stato (il pubblico) e il Mercato (il privato), da sempre costituito da soggetti (enti) di natura privata SENZA SCOPO DI LUCRO (NO PROFIT), i quali perseguono finalità solidaristiche e di utilità sociale (che li avvicina al pubblico), svolgendo attività di interesse generale e collettivo i cui benefici hanno una notevole ricaduta positiva sulla comunità. Per questa sua vocazione il Terzo Settore finisce per orbitare nell’ambito del Welfare State.

Pur rimanendo nel solco della sintesi, qui necessaria, va però precisato che il Terzo Settore e il No profit non coincidono perfettamente. Sicuramente i soggetti appartenenti al Terzo Settore sono enti No profit; ma non è vero il contrario: ci sono enti No profit che non fanno parte del Terzo Settore, perché non hanno quella vocazione solidaristica di cui sopra. Esempio: i sindacati, i partiti, ma anche semplici associazioni / aggregazioni con meri scopi ideali.

Gli ETS: una nuova definizione, ma non troppo.

Alla luce della riforma inaugurata con il CTS, sembra essersi instaurata una distinzione netta tra ETS e tutti gli altri enti No profit diversi dai primi sulla base di criteri che dovrebbero consentire di leggere il fenomeno in maniera dicotomica. O si è ETS o non lo si è. In effetti è così, ma in pratica le zone d’ombra sono tante.

Di sicuro possiamo dire che:

sono ETS tutti quegli enti No profit che vorranno o potranno iscriversi al RUNTS in quanto in possesso dei requisitisi previsti dall’art.4 del CTS;

resteranno meri Enti No profit tutti quegli enti senza scopo di lucro che non vorranno o non potranno (per mancanza dei requisiti prescritti) iscriversi nel RUNTS;

esistono, infine, enti che per espressa previsione di legge sono esclusi dal novero degli ETS: sono tutti quelli indicati nell’art. 4, comma 2, cit.

 

Osserviamo più da vicino la norma interessata:

Art. 4 – Enti del Terzo settore.

1. Sono enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le societa’ di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle societa’ costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalita’ civiche, solidaristiche e di utilita’ sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o piu’ attivita’ di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualita’ o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore (1).

Non sono enti del Terzo settore le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, le associazioni di datori di lavoro, nonche’ gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dai suddetti enti, ad esclusione dei soggetti operanti nel settore della protezione civile alla cui disciplina si provvede ai sensi dell’articolo 32, comma 4. Sono esclusi dall’ambito di applicazione del presente comma i corpi volontari dei vigili del fuoco delle Province autonome di Trento e di Bolzano e della Regione autonoma della Valle d’Aosta. Sono altresi’ escluse dall’ambito di applicazione del presente comma le associazioni o fondazioni di diritto privato ex Ipab derivanti dai processi di trasformazione delle istituzioni pubbliche di assistenza o beneficenza, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 febbraio 1990, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 23 febbraio 1990, e del decreto legislativo 4 maggio 2001, n. 207, in quanto la nomina da parte della pubblica amministrazione degli amministratori di tali enti si configura come mera designazione, intesa come espressione della rappresentanza della cittadinanza, e non si configura quindi mandato fiduciario con rappresentanza, sicche’ e’ sempre esclusa qualsiasi forma di controllo da parte di quest’ultima(2).

Agli enti religiosi civilmente riconosciuti le norme del presente decreto si applicano limitatamente allo svolgimento delle attivita’ di cui all’articolo 5, a condizione che per tali attivita’ adottino un regolamento, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, che, ove non diversamente previsto ed in ogni caso nel rispetto della struttura e della finalita’ di tali enti, recepisca le norme del presente Codice e sia depositato nel Registro unico nazionale del Terzo settore. Per lo svolgimento di tali attivita’ deve essere costituito un patrimonio destinato e devono essere tenute separatamente le scritture contabili di cui all’articolo 13.

(1) Comma modificato dall’articolo 2 del D.Lgs. 3 agosto 2018, n. 105.

(2) Comma modificato dall’articolo dall’articolo 11-sexies, comma 1, del D.L. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla Legge  Legge 11 febbraio 2019, n. 12.

 

Quali differenze?

Si crea così un doppio binario: ETS sottoposti al nuovo regime civilistico e fiscale previsto nel CTS; enti No profit che continueranno a sottostare al consueto regime civilistico (codice civile) e fiscale (TUIR), tuttora valido e non soppresso.

E’ evidente che il nuovo sistema lascia piena libertà a tutte quelle realtà che non intendono cambiare il loro regime giuridico, ma vogliono continuare ad operare con gli strumenti da sempre a loro disposizione. 

Scegliere se iscriversi o meno, se beneficiare o meno dei vantaggi fiscali previsti per gli ETS è un atto totalmente discrezionale da compiere dopo aver soppesato i vantaggi e gli svantaggi di lasciare un regime per abbraccirne ad un altro.

Pertanto, nulla è cambiato per gli enti di cui al Libro I, artt. 14 e ss, del cc: associazioni riconosciute o non riconosciute, fondazioni ecc. potranno, se lo riterranno utile, continuare a rimanere così com’erano. Così come si potrà continuare a scegliere di costituire una mera associazione di diritto privato senza alcuna ambizione di diventare un ETS. Col tempo, poi, si deciderà se fare o meno il salto di qualità. Ben potrà verificarsi, perciò, che due associazioni (riconosciute o meno) svolgano la stessa attività, ma con regimi diversi: una iscritta nel RUNTS, sottoposta al nuovo CTS e con qualifica di ETS; l’altra non iscritta nel RUNTS, sottoposta alle norme del libro I del codice civile e all’art. 148 del TUIR, nonché alle altre norme fiscali previgenti, che non assumerà la qualifica di ETS.

Nel prosieguo di questi nostri contributi proveremo a rispondere alle domande più frequenti che emergono dalla prassi operativa, sperando di rendere un servizio utile e snello per tutti quelli che vorranno avvalersene.

© di Avv. Annunziata Candida Fusco

 

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