Gli eventi catastrofici a seconda della loro portata, hanno sempre effetti, più o meno grave, su quella complessa macchina sociale che chiamiamo economia.
Che si tratti di terremoti, di guerre o di epidemie, incidono sulla struttura demografica, sull’apparato produttivo, sui livelli di consumo e sulle infrastrutture. Un vaccino efficace contro la variante economica può essere senza ombra di dubbio la testimonianza che ci è stata lasciata da John M. Keynes, ovvero il più grande intellettuale tedesco che nel corso del 900 è stato il primo economista ad occuparsi delle dinamiche dell’economia di guerra.
Dalla sua diretta esperienza di manger e di ministro osservò alcune trasformazioni fondamentali che riscontriamo oggi nell’economia dell’emergenza. La prima è la messa in discussione dei processi di globalizzazione. La seconda è una conseguenza di questi processi di de-globalizzazione con una ripresa di ruolo e valore del mercato interno. La terza riguarda il potere dello Stato che si rafforza e delle istituzioni che sono obbligate a trasformarsi, offrendo la possibilità di una economia di piano.
Riprendendo le parole del più famoso economista del 900 “riusciremo così a cogliere l’occasione della guerra per realizzare un progresso sociale positivo”. Per questo motivo gli scenari auspicabili per il futuro potrebbero essere una ripresa delle economie di prossimità, quelle fondate sulla piccola agricoltura, sull’accorciamento della filiera agro-alimentare, il piccolo commercio, la vita di quartiere e la rivitalizzazione del territorio.
Infine, la rivalutazione dei sentimenti di solidarietà dovrebbe animare i comportamenti anche in tempi normali e ispirare la condotta economica dei cittadini, tanto sul piano produttivo che su quello dei consumi.
di Fabio D’Amora