ANGAG (Associazione Nazionale Autonomi Carburanti – aderente a Conf PMI ITALIA) scrive al Ministro ed esprime il proprio dissenso al DDL carburanti

ANGAG (Associazione Nazionale Autonomi Carburanti – aderente a Conf PMI ITALIA) scrive al Ministro ed esprime il proprio dissenso al DDL carburanti
Ottobre 04 23:16 2024 Print This Article

L’ANGAG – (Associazione Nazionale Gestori autonomi carburanti – aderente a Conf PMI ITALIA) scrive al Ministro D’Urso per evidenziare le proprie osservazioni in relazione al DDL carburanti

ANGAC da anni ha sempre invocato – a tutela della categoria – una riforma del sistema della contrattualistica sino ad oggi vigente il cui uso distorto ed improprio ha dato luogo al fenomeno del cd” caporalato petrolifero” ossia lo sfruttamento del gestore con riconoscimento di esigui ed incongrui compensi predeterminati ed imposti dalle Compagnie.

    Ma se la riforma del settore e la tutela della categoria doveva passare attraverso una ridefinizione della figura e del ruolo del gestore attraverso una revisione della attuale regolamentazione contrattuale, il Governo ha perso una preziosa occasione per farlo, prevedendo come soluzione al problema la legittimazione normativa del contratto d’appalto avverso il quale stiamo conducendo da tempo battaglie politico-sindacali e legali.

    Suscita perplessità e legittima irrequietudine per la categoria l’introduzione, con piena legittimazione normativa, di uno schema contrattuale come l’appalto il cui uso distorto ha generato e genererà situazioni al limite del legittimo e del lecito.

    Con questo contratto il Gestore sarà chiamato ad espletare il servizio appaltatogli (la distribuzione di carburante) con il solo apporto di opera propria, senza avvalersi di una autonoma e personale organizzazione di mezzi e risorse.

    In tal caso si assisterebbe ad una violazione dell’art.1655 c.c. e dell’art.29 Dlg 276/2003 prefigurandosi una ipotesi di appalto non genuino ed illecito determinando ipotesi di interposizioni di manodopera.

   L’espletamento da parte del gestore del servizio appaltatogli senza una propria organizzazione di mezzi (si ricordi che la struttura complessa dell’impianto è di proprietà della Compagnia), senza l’impiego di proprie risorse finanziarie (il carburante viene fornito dalla Compagnia al Gestore dell’impianto e non ad esso venduto come accade in ipotesi del comodato petrolifero), in assenza di una autonomia organizzativa, darebbe  luogo ad un appalto non genuino sotto le cui mentite spoglie si cela un rapporto di subordinazione del Gestore alle effettive dipendenze della Compagnia o ad ipotesi di interposizione fittizia di manodopera ove il Gestore si avvalga dell’ausilio di propri dipendenti.

   Quella della subordinazione del Gestore – in seno al rapporto di comodato petrolifero – è una questione affrontata già in sede giudiziaria e che ha visto diverse pronunce della Corte di Cassazione e della Giurisprudenza di merito di diversi Tribunali italiani.

   In tali occasioni si è configurato quel principio secondo cui il rapporto tra il proprietario e il gestore di un impianto di distribuzione di carburanti che tragga origine da contratti distinti di comodato d’uso e di somministrazione, collegati tra loro e contrassegnati da un’unica causa, presenta elementi della c.d. para subordinazione quando l’impianto sia gestito personalmente dal gestore.

   Gli Ermellini in diverse occasioni hanno ritenuto che La Suprema Corte di Cassazione ha precisato che “il rapporto tra il proprietario ed il gestore di un impianto di carburanti che tragga origine da contratti distinti di comodato d’uso e di somministrazione, collegati tra loro e contrassegnati da un’unica causa, presenta elementi di cosiddetta para subordinazione quando l’impianto sia gestito personalmente dal gestore, con la collaborazione di un solo dipendente o che “ nei  rapporti di collaborazione coordinata e continuativa previsti dall’art. 409, comma 1, n. 3, c.p.c. possa rientrare  quello fra società produttrice o distributrice del carburante e la persona incaricata della gestione del singolo impianto quando la prevalenza dell’attività personale costituisce l’ipotesi normale e più rispondente alla figura contrattuale adottata “.

   Se nel comodato petrolifero la para subordinazione diventa una possibilità, nell’appalto la subordinazione diviene una componente quasi certa. Subordinazione caratterizzata solo da contro e non da pro, ossia priva di quelle tutele e prerogative che sono se non assicurate ma sicuramente previste dalla normativa giuslavoristica.

La subordinazione – nel senso più tecnico ed effettivo del termine – del Gestore nei confronti della Compagnia viene, con il disegno di legge e con esso con la legittimazione normativa dell’utilizzo dell’appalto per regolamentare nella forma il rapporto tra Petrolifera e Gestore, così

legislativamente occultata privando il Gestore della possibilità di invocare quelle tutele e garanzie che gli spetterebbero come lavoratore dipendente se non ricorrendo alle vie giudiziarie.

 Per tal ragione sarebbe stata opportuna, ed oggi più che mai necessaria, la partecipazione ed il coinvolgimento alla stesura del disegno di legge del Dicastero del Lavoro affinché potesse e possa offrire il proprio contributo tecnico per assicurare al gestore quelle garanzie come lavoratore che di fatto allo stato con l’impostazione del ddl gli verrebbero negate. Se il disegno di legge in questione nasce con l’intento di riordinare il settore della distribuzione di carburante trascurando la tutela della posizione del gestore, occorrerebbe e sarebbe auspicabile una integrazione modificativa dello stesso od addirittura un intervento e contributo normativo del Dicastero del lavoro che possa riconoscere, a determinate condizioni,  al gestore lo status di lavoratore subordinato con tutte le consequenziali tutele e attraverso una impostazione contrattuale ad hoc.

 Non è dato comprendere, inoltre, in che maniera e modalità il contratto di appalto possa interagire con quello del comodato petrolifero di vigente uso, se possa sostituirlo eliminandolo ed in tal caso, cosa succederebbe ai rapporti contrattuali in essere regolamentati con lo schema contrattuale del comodato?

L’instaurando contratto di appalto offre al Gestore, per come prospettato nel disegno di legge, minori garanzie rispetto a quello di comodato in termini di durata e stabilità.

 Breve inciso: le criticità del rapporto contrattuale di comodato, oggi addotte come ragioni giustificatrici dell’adozione legislativa del contratto di appalto prospettato come la soluzione in termini contrattuali alle problematiche della categoria, sono il frutto di un uso distorto dello stesso. Distorsioni legittimate da una contrattazione di cui sopra si è detto che di fatto non è riuscita a preservare la categoria da abusi di dipendenza economica realizzati nell’ambito del rapporto contrattuale regolamentato secondo termini e condizioni individuati con AEC, frutto di una ben precisa contrattazione.

La categoria tutta è consapevole del fatto che la gestione dell’impianto operata dal singolo connoti il rapporto di questi con la compagnia, un rapporto di subordinazione tenuto conto del fatto che l’apporto del Gestore sia caratterizzato quasi esclusivamente da manodopera  prestata secondo indicazioni e direttive fornite dal titolare dell’impianto che danno luogo a quella eterodirezione, indice rivelatore proprio della subordinazione, e dalla determinazione e corresponsione di un vero e proprio compenso dall’ammontare variabile e comunque sempre inferiore se parametrato alla retribuzione che spetterebbe al Gestore se fosse considerato e trattato come lavoratore dipendente.

 Subordinazione che non fornisce, però, al Gestore le prerogative e tutele proprie del lavoro dipendente subendo le conseguenze di una contrattazione che non è quella dei CCNL ma degli Accordi Economici Aziendali. Il futuro e la sopravvivenza della categoria può essere assicurato solo da un intervento normativo ad hoc che possa, nel riconoscere e tutelare la subordinazione del Gestore, prevedere una figura contrattuale regolamentativa del rapporto Gestore/Compagnia ed un regime di contrattazione differente dagli oramai obsoleti AEC.

   La ricerca della “Green Way” consentirebbe la riqualificazione, con un apposito ed innovativo schema contrattuale, del Gestore come un addetto energetico, a cui, cioè la Compagnia possa affidare il compito di fornire e vendere energia ed i servizi ad essa connessi all’utenza.

   Invece la Categoria verrebbe decimata se non azzerata con la automatizzazione degli impianti oggi affidati in gestione sotto le mentite spoglie della loro riconversione al green incentivata economicamente da contributi statali per le sole compagnie.

   Il Governo aiuta finanziariamente le sole Compagnie ad assassinare la Categoria.

Bastava una modifica dello schema contrattuale del DLGS32/98  dando al rapporto maggiore garanzie di stabilità attraverso l’introduzione di clausole che limitassero le prerogative risolutive del rapporto da parte delle Compagnie, ammortizzatori sociali per i Gestori i cui impianti fossero destinati alla riconversione ed all’automatizzazione, la previsione attraverso un contratto ad hoc – concertata con il Dicastero del Lavoro –  della figura dell’addetto energetico con vincolo di para/subordinazione alle Compagnie con tutte le relative tutele e garanzie della subordinazione.

   Ecco cosa abbiamo richiesto e ci aspettavamo dal Governo che come la montagna ha partorito un topolino chiamato appalto.

   Vi sono altre “storture” da evidenziare. La prima tratta di rappresentanze e contrattazione, temi per ANGAC di vitale importanza.

  Con questa bozza il decreto toglie la dicitura del “maggiormente rappresentative” fingendo di voler normalizzare i valori delle Sigle di rappresentanza, ma che, allo stato dei fatti, lo fa scivolare in un limbo di assenza di tutela, con il chiaro obbiettivo di privare il settore di quelle azioni di tutela che dovrebbero essere garantite in un paese civile.

   Perché le associazioni di categoria possano operare in una azione di tutela e contrattazione, il settore dovrebbe essere tutelato a livello giurisprudenziale, e invece assistiamo all’inserimento di un contratto di appalto che per la sua forma priva già l’appaltatore (ex gestore) dell’arma fondamentale, quella estrema dello sciopero.

   Ovviamente la percentuale di impianti in appalto ridurrà notevolmente la quantità di impianti con la volontà di partecipare ad azioni di contestazione, consegnando di fatto un comparto immobilizzato e mansueto alle Petrolifere.

 Per quanto riguarda la contrattazione, non possiamo che rigettare questo disegno di legge.

Confrontiamo due impianti con contratto di appalto, uno con un erogato da 2 mln di litri e l’altro con un erogato da 4 mln di litri. Da una prima analisi salta subito all’occhio come i compensi siano diversi visti gli erogati. Ma se analizziamo più nel dettaglio la situazione ci rendiamo conto come i compensi variano a causa dei differenti costi di gestione che il secondo impianto deve affrontare per poter mantenere un erogato da 4mln di litri.

Ecco che, nel secondo caso, si assiste ad un accordo negoziato “One-to-One” che estromette l’associazione di categoria dalla trattativa negoziale. Il paradosso estremo si presenta nel momento in cui la Compagnia petrolifera non riesce a trovare, o non vuole trovare, un accordo economico congruo con il gestore. In questo caso il gestore dovrà aspettare 18 mesi prima di poter fare ricorso all’intervento del tavolo ministeriale.

Così facendo si diventa complici della realizzazione di un comparto che sarà sempre sotto continuo ricatto e in piena precarietà e sfruttamento.

Questo disegno di legge, con l’introduzione normativa del contratto di appalto nel settore petrolifero, tutela la parte già forte del settore – le Compagnie petrolifere – e continua a lasciare indifeso il gestore che lotta da tempo per l’applicazione di forme contrattuali in cui vengano normate anche le modalità di trattamento economico, così da non subire le prepotenze delle Compagnie petrolifere.

   La seconda riguarda le bonifiche degli impianti da dismettere.

  C’è un’ enorme contraddizione alla voce a) riguardo le dismissioni, ovvero la messa in sicurezza dell’impianto rimosso, o riconvertito, e più in dettaglio circa l’inertizzazione dei serbatoi sottoterra (ossia senza la loro rimozione).

   Quello che è ancora più incongruente, però, è il mancato carotaggio sull’area dei serbatoi per verificare la presenza o meno di prodotto inquinante, anzi, altamente inquinante, e questo risulta poco chiaro dal momento che è stato coinvolto alla stesura del DL il Ministero dell’Ambiente: come si può anche solo lontanamente pensare di sanare una gamba in cancrena con l’applicazione di un cerotto?

  In ultimo, ma non meno importante, risulta poco chiaro come i soldi stanziati alle compagnie petrolifere per le opere di “bonifica” siano certi, mentre per i gestori ci siano dei calcoli infinitesimali di approssimazioni successive, che si risolveranno con una pacca sulla spalla e un pranzo al sacco.

   In ultimo, e allo stesso tempo importante, evidenziamo che per la continua espansione e diffusione dell’utilizzo dei pagamenti elettronici con le carte di credito e bancomat, arrivate ormai alla media del 70/80% del totale dei pagamenti, le commissioni annullano e a volte superano l’intero margine del gestore questo perché il guadagno è appena del 2% del prezzo del carburante, ma le commissioni sono calcolate sull’intero importo costituito al 98% da accise, Iva e costo industriale.

Per questi motivi si deve consentire al gestore di usufruire al 100% del credito d’imposta sulle commissioni (attualmente è al 50%) o, in alternativa, far ricadere tali costi ai consumatori.

ANGAC, per tutto quanto sopra esposto, manifesta il proprio dissenso avverso la bozza del DDL presentato dal Ministro Urso”.

 

 

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