Economia, guerra, e abuso del diritto internazionale: un triangolo pericoloso

Economia, guerra, e abuso del diritto internazionale: un triangolo pericoloso
Luglio 11 23:44 2024 Print This Article

Il termine “economia” designa, in gergo, una pluralità di situazioni, assumendo, di conseguenza, una pluralità di significati.

Può essere, infatti, definita quale insieme delle risorse che possono essere utili alla produzione, come, ad esempio, la terra, le materie prime (prodotti agricoli, energetici, minerali, metalli, più in generale i prodotti del sottosuolo e del soprasuolo), gli impianti, i macchinari industriali, il denaro, le imprese, lo Stato.

Può anche essere etichettata alla stregua di complesso dell’attività diretta all’utilizzazione delle risorse in un determinato ambito geografico, politico, amministrativo, anche limitatamente a un solo settore produttivo (es. industriale, forestale, ambientale).

Infine può assumere il significato di impiego razionale del denaro e di qualunque altro mezzo diretto ad ottenere il massimo vantaggio col minimo sacrificio, divenendo, quindi, sinonimo di risparmio, di oculata amministrazione del patrimonio posseduto.

Nella prima categoria definitoria rientra la configurazione aziendale dell’economia, nel secondo quella collettiva, nel terzo quella individuale.

Tali differenti sfaccettature del concetto di economia finiscono sovente per coincidere ed anzi il loro reale significato dovrebbe essere sempre omogeneo, nel senso che qualora le risorse dei paesi mondiali venissero collettivamente impiegate per garantire ai relativi abitanti di poter condurre un’esistenza dignitosa, equilibrata e rispettosa degli altri ciò finirebbe per realizzare proprio i fini per cui l’economia è nata.

Affinché, però, tutto ciò possa avvenire sarebbe necessario che il contesto mondiale non venisse caratterizzato (com’è, invece, accaduto nel corso della Storia) da conflitti armati, da posizioni di belligeranza, da tensioni tra le varie nazioni mondiali.

La guerra, sotto tale aspetto, dovrebbe simboleggiare sia una distruzione dell’economia sia, a monte, l’impossibilità che qualsivoglia tipo di economia possa propagarsi in territori attraversati e lacerati da lotte belliche.

In realtà le cose stanno un po’ diversamente.

Sul punto non si può fare a meno di notare che la maggior parte delle guerre finora combattute sia iniziata sol ed esclusivamente per motivi economici, tra i più disparati: voler imporre la supremazia di qualche moneta su altre monete; voler pretendere di regolare le transazioni internazionali sempre nella propria moneta; voler bloccare alcuni paesi emergenti, in via di espansione; voler imporre il proprio dominio su territori rigogliosi, ricchi di materie prime, di fonti di reddito, di sudditi obbedienti; voler imporre la primazia del proprio credo su altri credi (questo è stato tipico delle guerre sante).

Come ben si intuisce è proprio e giusto la famelica sete di potere, la spasmodica brama di comandare, la vorace fagocitazione della pretesa di obbedienza che ha spinto alcuni popoli, in passato, a scagliarsi contro altri popoli, ancorché, obiettivamente, non se ne ravvisassero fondate ragioni di fondo (tali sarebbero quelle di doversi difendere da attacchi provenienti dai nemici, senza che tali attacchi siano stati in qualche modo causati dal comportamento del paese poi attaccato).

Pertanto economia e guerra sono unite da un destino ineluttabile, da un legame indissolubile.

Da un lato le guerre le possono combattere solo i paesi più ricchi, ovverosia quelli che dispongano delle risorse economiche necessarie per far fronte alle spese della campagna militare (e si capisce che i soggetti passivi di tali condotte non possano che essere i paesi più poveri, i quali, al contrario, non dispongono delle risorse economiche, sia per attaccare che per difendersi dagli attacchi): quindi l’avere economia costituisce il presupposto dell’avvio della guerra.

Dall’altro lato alcune guerre sono state combattute proprio per avere la possibilità di diventare economicamente più forti, conquistando territori pieni di ottime materie prime (cd. colonie), da destinare, ovviamente, non già appannaggio delle popolazioni dei territori conquistati (come pur si usava fare in periodi ormai temporalmente molto lontani, laddove i paesi conquistati potevano beneficiare della realizzazione di importanti opere primarie e culturali di vario tipo ad opera dei paesi conquistanti), bensì ad esclusivo beneficio del paese aggressore.

In linea di massima la pace sociale dovrebbe essere un concetto molto semplice da insegnare e anche da apprendere: logica e ragione imporrebbero, infatti, di non andare a disturbare, senza validi motivi, il proprio prossimo, men che meno manu militari.

Epperò la satanica visione del denaro come unica cosa buona e giusta che vi sia sulla faccia della Terra, oltre a snaturare le altre ben più importanti componenti dell’essere umano (l’anima, lo spirito, l’equilibrio, il corpo, la natura, i rapporti con i propri simili), si è rivelata, specie negli ultimi tempi, l’obiettivo primario ed unico, da conseguire ad ogni costo, piegando a questa truce volontà qualsiasi ostacolo che venisse a intralciare il demoniaco cammino intrapreso.

Nella ventilata prospettiva si inserisce l’abuso del diritto internazionale, a cui alcuni paesi (uno in particolare) hanno sempre fatto ricorso.

Il diritto internazionale, com’è noto, è l’insieme delle regole che fungono da presidio al rispetto e al mantenimento della Pace tra i popoli.

Tralatiziamente esso è stato suddiviso in diritto internazionale generale (le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, come, ad esempio, il divieto di tortura e di inflizione di trattamenti inumani e degradanti) e diritto internazionale speciale (le convenzioni, gli accordi tra gli Stati, i Trattati internazionali, che obbligano allo stare decisis, cioè a dire al rispetto delle decisioni, cd. diritto internazionale pattizio).

La Costituzione italiana, all’art. 11, stabilisce, con monito fermo e inequivocabile, che “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Quanto appena tratteggiato vuol significare che per la (ormai bypassata, anzi trapassata) Costituzione italiana: a) non è possibile dichiarare guerra ad altre Nazioni per privare gli altri popoli delle loro libertà; b) non è possibile utilizzare la guerra come metodo per risolvere controversie individualistiche di uno Stato con un altro Stato; c) la sovranità è limitabile solo in condizioni di parità con gli altri Stati (ossia solo se anche gli altri Stati contemporaneamente limitino la loro sovranità), contestualmente e nella direzione di quell’unico giustificativo fine di assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni.

Detto così sembrerebbe che sia tutto apposto, che ogni qual volta si sentano i mezzi di (dis)informazione dire che uno Stato abbia attaccato un altro Stato il primo abbia automaticamente torto e il secondo automaticamente ragione: purtroppo, così non è, perché i fatti vanno accertati, interpretati e valutati in maniera calma, pacata, ma, nondimeno, massimamente razionale e rigorosamente analitica.

Si suol dire, spesso, che in guerra e in amore tutto sia lecito: in amore forse, in guerra sicuramente no.

Esiste, a tal uopo, il diritto internazionale bellico, che è, poi, l’insieme delle norme applicabili durante i conflitti bellici. Per il diritto internazionale bellico non è possibile attaccare civili abitazioni, ma solo centri strategici militari, non è possibile aggredire donne e bambini, ma solo attaccare i soldati in uniforme, non è possibile inviare armi ad uno degli Stati guerreggianti, ma solo medicine e viveri (cd. diritto internazionale umanitario).

E soprattutto: non è possibile inviare di nascosto truppe del proprio paese in un altro paese (foss’anche solo per esercitazioni militari); non è possibile fomentare tumulti popolari o rivolte tra diverse fazioni di un territorio straniero; non è possibile finanziare campagne elettorali straniere per mandare al potere persone che, in quei territori, una volta preso il potere favoriranno gli interessi del paese finanziante; non è possibile, fatto questo, far finta di essere sorpresi che in un dato paese sia scoppiata (a causa di atti ostili provenienti da un paese terzo) una rivolta, dipingendosi, poi, da paese in odore di santità, invece che da paese che abbia dato il là all’insorgere del conflitto; non è possibile inviare le truppe di difesa nel paese disturbato e infastidito, fingendo di voler assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni; non è possibile mostrarsi da difensori della patria quando si è, soltanto, offensori della patria.

Tutto ciò, naturalmente, è successo e chi ha un minimo di cervello riesce anche facilmente a collocare tali eventi nelle loro giuste dimensioni spaziali, temporali e territoriali.

Quanto rilevato dimostra che la sovranità, ormai, sia un concetto superato, che conviene solo citare su qualche documento ufficiale, su qualche roboante pezzo di carta: la realtà, però, è ben diversa, posto che un paese che si professi sovrano nel proprio territorio non può remissivamente acconsentire a triangolazioni di personaggi di malaffare e di stati truffaldini, i quali, fagocitati da motivi di illecita volontà di predominio economico sugli altri stati dapprima creino, con atti ostili, furbeschi e ignobili, i presupposti per insurrezioni locali, poi usino le pseudo organizzazioni internazionali esistenti, orientandole a loro piacimento, infine si spartiscano (o addirittura non dividano con nessuno) i profitti del deleterio sviluppo dei conflitti causati, di cui, alla fin fine, hanno le colpe maggiori (le colpe minori le hanno i soggetti che si facciano irretire da detti marinai professionisti, esponendo i loro concittadini alle giustificate reprimende e alle prevedibili reazioni di stati che, invece, non vogliono avere niente a che spartire con questa guerresca voracità).

La triade, per ciò solo, viene a configurarsi: siccome si vogliono dominare gli altri popoli (vale a dire i popoli che si permettano di non essere d’accordo di essere resi schiavi) si usano i settori economico e militare, poi si abusa del diritto internazionale (trasformando l’offensore in offeso, il buono in cattivo, il giusto in ingiusto, ecc.), infine si diventa ancor più forti economicamente e con un numero maggiore di servi.

Il triangolo no, non l’avevo considerato, ma questo tipo di geometria pare essere più grave di qualsiasi reato.

Avv. Sandro Castro

Amministrativista – Civilista – Laburista

  Categories: