Possiamo fare. Dobbiamo fare. Riflessioni sul Capitalismo dei nostri tempi

Possiamo fare. Dobbiamo fare. Riflessioni sul Capitalismo dei nostri tempi
Gennaio 12 21:24 2021 Print This Article
Non sono un nemico o un critico assoluto del Capitalismo, tutt’altro. Storicamente il Capitalismo ha permesso a milioni e milioni di persone di vivere in condizioni quali non vi erano mai state, almeno dal punto di vista materiale. E gli Stai liberali e democratici hanno permesso delle libertà generalizzate mai concesse e vissute. Quel che temo è che il Capitalismo è pervenuto ad una fase dubbia, problematica dalla quale difficilmente verrà fuori. Che intendo per fase dubbia e problematica? Intendo una fase nella quale il profitto non viene solo dal lavoro umano, ma soprattutto dalle macchine. Non è tesi nuova, non è tesi mia, ma nella quasi radicale mancanza di cognizione è opportuno farla risorgere. Sì, la tesi è verosimile, il futuro del Capitalismo sarà sfavorevole alla società, giacché un sistema produttivo che non crea lavoro sarebbe rovinoso. Quando dico che non crea lavoro, bisogna chiarire. Anche un lavoro poco remunerato, un lavoro precario, un lavoro schiavizzato, un lavoro in cui i soggetti perdono diritti, comunque un lavoro non ampiamente diffuso, con larghissime fasce di disoccupazione e di sottoccupazione e con il declino delle classi medie. Una società del genere non è accettabile e vulnererebbe le conquiste attuate dallo stesso Capitalismo del passato.
Questo mi induce a criticare il Capitalismo, il suo futuro, che mi sembra nettamente problematico. Paradossalmente, ciò avviene mentre l’inventiva capitalistica ha suscitato le più estreme, almeno per il momento, potenzialità tecnologiche. È un paradosso drammatico, avremo e abbiamo strumenti produttivi grandiosi, ma gli effetti non sembrano favorevoli alla società.
E’ il dilemma che io pongo. Possibile che con l’avanzare degli strumenti produttivi, invece di un benessere sociale allargato vi siano incertezza e pericolosità? E’ quanto sta avvenendo, ma sta avvenendo per le società occidentali, in quanto Paesi come la Cina e l’India ed altri hanno ingigantito l’occupazione, la produzione e quindi non rientrano minimamente in questa fase calante dell’occupazione e del benessere sociale. Il che, però, complica la situazione. Ciò significa che vi è un conflitto tra i vari Capitalismi o comunque tra i vari sistemi produttivi e che non si riesce a generalizzare il benessere. Insomma, gli strumenti produttivi sono esponenzialmente più produttivi, ma il benessere e l’occupazione non sono equivalenti per tutte le società. Se una parte cresce, altre declinano. Oggi è il momento dell’Oriente. Si può discutere anche questa affermazione, ma se compariamo lo sviluppo della Cina e dell’India con quello che sta accadendo nei Paesi europei e negli Stati Uniti, non possiamo dire che il nostro sviluppo sia paragonabile a quello cinese o indiano. Le ragioni le conosciamo ed è inutile ribadirle. L’avvento di enormi organismi produttivi accresce le difficoltà occidentali? Ecco l’altra questione. Al dunque vi è una problematicità dovuta alla disoccupazione da tecnologia, una problematicità dovuta allo sviluppo dei Paesi orientali, una problematicità dovuta ai grandi gruppi, le cosiddette multinazionali che possono falcidiare le medie e piccole imprese e diminuire il bisogno di lavoratori. C’è modo per affrontare queste situazioni? C’è modo per dare alla società, alle società una garanzia di occupazione che tenga il passo alle nuove tecnologie e che le nuove tecnologie non servano soltanto al dominio di pochi e al malessere di molti? Ecco le questioni che mi pongo. Temo che si stia andando verso il dominio, ripeto, di gruppi concentrati che usano a loro vantaggio le nuove tecnologie restando indifferenti agli effetti sociali di questo processo; o che si abbia troppa condiscendenza verso lo sviluppo orientale, non vedendo gli effetti sulle società occidentali. Comprendo nettamente l’enorme difficoltà di rimediare a questa tendenza, è una tendenza storica pressoché inevitabile.
Dobbiamo esistere e sopravvivere come possiamo fino a che le contraddizioni tra Oriente ed Occidente, produttività, produzione e consumi, esploderanno? Oppure la potenza produttiva dei grandi gruppi diverrà universale e avremo un lavoro minimo mondiale, con la diffusione mondiale della produzione resa enorme dalle nuove tecnologie? Nel periodo presente questi vagheggiamenti di un benessere universale dovuto alle nuove tecnologie si intravede come ipotesi, un’ipotesi lontana. Al presente ne vediamo gli effetti negativi, specie per le società occidentali. Che fare? Innanzitutto rendere l’opinione pubblica cosciente della situazione. Coloro i quali si avvantaggiano della situazione la nascondono e quindi occorre un’opera di informazione, di svelamento. Non è facile, non sarà facile, neanche informare e far capire, sarà facile meno che mai reagire.
   Il Capitalismo è ben organizzato, la congiunzione tra sistema produttivo multinazionale e sistemi di informazione e il controllo dei due sistemi rende pressoché inefficiente ogni altra voce. Ma non possiamo rassegnarci. L’impresa di lavoratori è una eventualità possibile? E’ opportuna e utile? È fattibile? Se c’è altro modo per difendere i lavoratori, l’occupazione, che venga alla luce. Lo scambio di prestazioni, il baratto sociale, possono servire? Ci sono altri modi per difenderci? Le piccole e medie imprese associate ai lavoratori con accordi sugli orari, i salari, i profitti, possono reggere? Un silenzio assoluto sui modi difensivi dal grande capitale e dallo spostamento della produzione ad Oriente. Io formulo tentativi e capisco anche che sono tentativi riduttivi, difensivi. La vera soluzione sarebbe diminuire l’orario di lavoro. Ma è una ipotesi che il Capitalismo non accetterà mai.
Intanto sta accadendo un altro fenomeno. Il Capitalismo volge l’offensiva contro la popolazione nazionale, mentre in passato associava la popolazione ai vantaggi del colonialismo. Essendo ora più difficile il colonialismo, esso depaupera le popolazioni nazionali. La situazione è difficilissima. Certo il ruolo dello Stato sarebbe essenziale. Sarebbe essenziale, ma non esiste uno Stato neutro. Esiste uno Stato secondo i governi e i governi possono essere nemici della società, della propria società addirittura. L’universalismo economico ha pure queste caratteristiche, non tanto e non solo la perdita di sovranità degli Stati, ma governi che non vogliono avere sovranità o l’hanno contro il proprio Paese.                        
 Eppure non c’è da scoraggiarsi. Se riusciamo a forgiare una classe politica che abbia a cuore l’interesse nazionale e se la Nazione prende coscienza del proprio interesse nazionale e degli interessi europei della Nazione europea, ci salveremo. I mezzi ci sono, occorrono i fini. Quello che manca oggi è la coscienza della finalità di salvezza; se riusciamo a convincere la gente che deve salvarsi e si vede una classe politica che abbia questo scopo, ci salveremo. Faremo quel che possiamo, dobbiamo fare quel che possiamo.
      di  Antonio Saccà
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