Roma – In uno dei testi essenziali della rappresentazione teatrale tenutasi al Teatro Petrolini, in Roma, il Dialogo tra la Morte e la Gioia, la Morte sostiene che è inconcepibile la Gioia esistendo la Morte, la quale ritiene di essere il pensiero costante, ossessivo, penosissimo degli uomini e sugli uomini; la Gioia disillude la Morte, accade il contrario: o l’ultima situazione che gli uomini considerano è la Morte o, se la pensano, cercano di fingersi vie di scampo: che l’anima è immortale, che la specie non muore, che vi è reincarnazione in altri individui o addirittura che la Morte non esiste finché c’è la vita e quando c’è la Morte non avendo la coscienza non avremo consapevolezza della Morte. Ad ascoltare queste mascherature della Morte, la Morte ride , irride, Lei sa che la Morte è eterna, definitiva, e dunque si ritiene tragicamente sovrastante, terrificante. Vincitrice. Ma ancora una volta la Gioia la disillude, e sostiene che Lei, la Gioia pur non ignorando la Morte vuole vivere, ama la vita nonostante la Morte e contro la Morte. La Morte non si aspettava questa “novità” riteneva che gli uomini se pensano la Morte considerano vano vivere! E’ sorpresa che l’Uomo possa contemporaneamente pensare la Morte e voler vivere, perfino gioire proprio contro la Morte, la Morte come ragione per volere massimamente la Gioia la sgomenta. Ma il finale è tragico, La Morte sfida la Gioia( l’Uomo) a guardarla in faccia, l’Uomo la guarda ed atterrisce, maledicendola. La Gioia nella tragedia della Morte.
Inconsueta questa rappresentazione, non siamo più disposti alla drammaticità, anzi: alla tragicità né a queste figurazioni astratte Gioia, Speranza, Morte che facevano parte del teatro antico ripreso in epoca medievale e barocca,siamo ormai in un realismo terraterra, borgataro,invece Saccà ritorna al classico, all’antico, a suggestioni filosofico-teatrali che hanno una efficacia esistenziale incredibile appunto in quanto desuete.
Altrettanto suggestivo il Dialogo, tra l’Uomo e la Speranza. L’Uomo non vuole la Speranza giacchè la Speranza rimanda la felicità al domani e fa sopportare il dolore presente, laddove la Disperazione costringe ad agire, dà la forza della Disperazione. Il Dialogo è recitato con la voce dal timbro sonoro, nitido, pieno di Diego Vasapollo e dalla voce esile, aggraziata, femminile di Sabrina Tutone, con una sincronia di battute perfetta. Umorismo di classe nell’ATTO UNICO “SI’/NO. Un uomo sospetta che la moglie lo tradisca e che si abbigli per l’amante fingendo di abbigliarsi per il marito, il quale ne parla con un conoscente in un Bar, il suo interlocutore è alquanto stordito e distratto, equivoca continuamente ed il “lei” con cui il marito parla della moglie gli sembra rivolto a “lui” con effetti umoristici teatralissimi, ma il dramma esiste ed è il dramma dell’interpretazione delle intenzioni dell’altro: la moglie vuole davvero vestirsi per l’amante o invece lo fa per il coniuge che pensa di sedurre in quanto lo considera distratto da lei? In questo enigma della comprensione o incomprensione spunta un personaggio che non ha a che vedere con la situazione, un tizio disperatissimo perché ha dato ospitalità a della gente che lo vuole cacciare da casa, un inciso assurdo e realissimo. Attori confacenti ai ruoli, il virulento, aspro Riccardo Moccia che nella parte della Gioia, mi riferisco al Dialogo tra la Morte e la Gioia, alterna il quasi non detto a scatti di tensione estrema con risultati espressivi da vero teatro, ciò anche in un brano a dialoghetto sul dilemma tra voglia di vita e voglia di morte, mentre nell’inciso in “SI’/NO” quale padrone di casa scacciato da casa era totalmente invasato di rabbia umoristica e vendicativa; magnifiche la voce e la gestualità di Ettore Savarese che nel ruolo della Morte irridente contro la Gioia suscita toni sprezzanti di superiorità, aguzzi, trafiggenti messi in dubbio dalla volontà della Gioia di affermarsi. Il duetto tra Moccia e Savarese fu teatralità come non se ne vede e ascolta, sciabolate che colpiscono esistenzialisticamente.
In “SI’/NO” Vasapollo usa la voce piena, chiara, sentita alla perfezione nello spiegare, vagliare, argomentare i suoi sospetti contro la moglie, entrando opportunamente in un personaggio narrativamente “ragionativo”. Armando Como nella lfigurazione dell’ingenuo, dello svagato, ma pure incuriosito interlocutore del marito non ha eguali per umorismo senza volerlo essere,fermo, serio, attonito, svolge un equivoco sull’altro, come accennato, ma non si scompone, una vera “maschera” teatrale. Sabrina Tutone nel dipanare la cognizione delle sue intenzioni e delle intenzioni del coniuge ha espresso brani di difficilissima espressione, basta una parola fuori posto e non si coglie il significato. E’ stata superiore. Vero teatro, concettuale, drammatico. Nessuna concessione all’andamento odierno che cerca la risata, la volgarità, la “battutina” per compiacere. Un teatro di pensiero, problematicissimo ,che lascia residui di meditazione, fondamentalmente : non basta sopravvivere, se accettiamo, vogliamo la vita , vivere per la gioia e per l’intensità della vita su questa terra, oggi. Testi e regia di Antonio Saccà, appalauditissimo con gli attori e il fisarmonicista Sergio Vasapollo che ha intarsiato di melodie gli intermezzi dei vari testi. Infine ogni attore ha letto un a composizione poetica di Antonio Saccà dal suo recente libro: Quel che resta del Nulla(Armando Editore)
di Gerardo Alfonsini