Garibaldi e la Gran Bretagna, un legame a “doppio filo”

Garibaldi e la Gran Bretagna, un legame a “doppio filo”
Dicembre 07 22:30 2019 Print This Article

Garibaldi è ancora ricordato in tutta Italia con lapidi, statue, intitolazioni di vie e di piazze, ma nessuno ricorda lo stretto legame che legava all’Inghilterra nella Spedizione dei “Mille”. Un’ Inghilterra che aveva forti interessi politici e commerciali da difendere nel Mediterraneo e che non poteva fidarsi di Francesco II di Borbone, come non si era fidata prima del padre Ferdinando II organizzandogli contro una spietata campagna denigratoria i cui effetti persistono ancora oggi addirittura nelle righe di alcuni storici.

È lo stesso Garibaldi, nelle sue “Memorie”, a descrivere l’approdo a Marsala dell’11 maggio 1860:

“Il primo progetto di sbarco fu per Sciacca, ma il giorno essendo avanzato, e temendo d’incontrare incrociatori nemici, si prese la determinazione di sbarcare nel più vicino porto di Marsala: 11 maggio 1860. Avvicinando la costa occidentale della Sicilia, si cominciarono a scoprire legni a vela e vapori. Sulla rada di Marsala erano alla fonda due legni da guerra che si scoprirono essere inglesi. Deciso lo sbarco a Marsala, ci dirigemmo verso quel porto ove approdammo verso il meriggio. Entrando nel porto vi trovammo legni mercantili di diverse nazioni. La fortuna aveva veramente favorito e guidato la spedizione nostra, chè non si poteva giungere più felicemente. Gli incrociatori borbonici da guerra avevano lasciato il porto di Marsala nella mattina. S’erano diretti a levante, mentre noi giungevamo da ponente, e si trovavano alla vista verso capo San Marco, quando noi entrammo. Dimodoché quando essi giunsero a tiro di cannone, noi avevamo già sbarcato tutta la gente del Piemonte, e si principiava lo sbarco del Lombardo. La presenza di due legni da guerra Inglesi influì alquanto sulla determinazione dei comandanti de’ legni nemici, naturalmente impazienti di fulminarci; e ciò diede tempo ad ultimare lo sbarco nostro. La nobile bandiera d’Albione contribuì, anche questa volta, a risparmiare lo spargimento di sangue umano; ed io, beniamino di codesti Signori degli Oceani, fui per la centesima volta il loro protetto” .*

 

Colpisce profondamente constatare che «l’eroe dei due mondi», il rivoluzionario Garibaldi, si riteneva «beniamino» di coloro i quali avevano issato in mezzo mondo «la nobile bandiera d’Albione», la bandiera di quella Gran Bretagna che era ritenuta la più grande potenza coloniale e imperialistica al mondo, che solo da qualche anno aveva abolito lo schiavismo e il traffico di carne umana, che non esitava a passare per le armi i suoi nemici interni e esterni, che manteneva in condizioni di estrema povertà le classi proletarie, che permetteva che milioni di suoi sudditi emigrassero per la fame, che aveva un sistema carcerario tra i peggiori al mondo. Destava allora, e desta ancora oggi, scalpore, che chi progettava di unificare l’Italia dal gioco straniero si affidava pienamente alla Gran Bretagna nel tentativo di sopraffare una legittima monarchia perfettamente italiana.

Naturalmente, Garibaldi non poteva andare oltre le semplici dichiarazioni di affezione, amicizia, simpatia e rivelare chiaramente quale fosse il ruolo degli inglesi nella spedizione, essendo tenuto a mantenere il vincolo di segretezza in un momento in cui la polemica e la critica delle diplomazie di mezza Europa sarebbe divampata in tutto il mondo.

 

* Le memorie di Garibaldi, Bologna, Cappelli, 1932, vol. II dell’Edizione Nazionale degli scritti di Giuseppe Garibaldi, pp. 422-423, da P. PASTOREL-LI, 17 marzo 1861. L’Inghilterra e l’unità d’Italia, cit., pp. 63-64.

 

di Michele Di Carlo

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