Cosenza – Attraverso la tutela dei beni storici materiali e immateriali e la loro valorizzazione culturale passa gran parte delle possibilità di sviluppo sostenibili del nostro Mezzogiorno, anche in funzione di attrattiva turistica.
I piani finora messi in campo nell’ambito degli obiettivi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale del Mezzogiorno non hanno colto la vasta possibilità di recupero e di fruizione del patrimonio museale ed archeologico del Mezzogiorno, in quanto l’individuazione, la valutazione e la selezione di progetti è stata largamente condizionata dalla crisi economica in atto nell’ultimo decennio, scaricata in gran parte sul Mezzogiorno con politiche di risparmio che non hanno accompagnato i fondi provenienti dall’Europa con un sostegno finanziario interno adeguato. Ancora una volta da queste politiche il Sud ne è uscito perdente e mortificato.
L’individuazione stessa di tante aree di valore storico e archeologico resta fortemente condizionata dagli interessi speculativi subiti nel passato a causa di una irresponsabile politica di espansione edilizia tesa ad occultare del tutto il preminente bene culturale; interessi privati che hanno prevalso su quelli pubblici e che hanno visto lo Stato italiano spettatore, e qualche volta attore attraverso i vari condoni edilizi, degli scempi edilizi, dell’occultamento e a volte della distruzione di beni storici e archeologici.
La Svimez, l’associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno, nel 2016 ha indicato che a livello nazionale dal 2000 al 2013 il calo degli investimenti per la cultura é stato del 27%. Ben più grave la situazione in tante aree del Mezzogiorno con la Calabria, ad esempio, che ha subito tagli del 43,6%. Tagli che hanno penalizzato musei, biblioteche, cinema, teatri, enti lirici, spettacoli, archivi, accademie, ma anche gli enti che svolgono attività sportive e ricreative.
Sempre i dati Svimez hanno riferito che nel 2013 la spesa per abitante per la cultura in Puglia e Calabria è stata di 68-69 euro contro i 126 della media nazionale, nemmeno il 55%.
In definitiva, nel 2013 in termini di spesa pro capite per la cultura ogni cittadino del Sud ha ricevuto in media il 35% in meno di un cittadino del Nord. Ma la situazione diventa drastica analizzando solo i tagli operati dalle amministrazioni centrali; in questo caso si verificava un vero e proprio crollo degli investimenti in cultura al Sud di ben il 74,6%, con i 13,6 euro del 2000 diventati appena 3,48 nel 2013.
Come si può ben capire anche per quanto riguarda la cultura i costituzionali livelli essenziali di cui alla Costituzione sono stati del tutto ignorati.
Il nuovo Piano operativo “Cultura e turismo” (Fondo sviluppo e coesione 2014-2020) che fa riferimento alla dotazione finanziaria della Legge di bilancio 2018 e che ha la propria titolarità nel Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, presenta una ripartizione territoriale complessiva degli interventi previsti pari al 79% al Sud e al 21% al centro-Nord, per un totale di 740 milioni di euro e con cronoprogramma della spesa così ripartito e esteso fino al 2023:
2018, 10 milioni; 2019, 40 milioni; 2020, 150 milioni; 2021, 200 milioni; 2022, 195 milioni;
2023, 145 milioni.
Risulta del tutto evidente che alle belle parole non corrispondono dotazioni finanziarie tali da poter modificare il quadro di abbandono e di incuria con cui sono gestite, o meglio non gestite, le mille aree archeologiche e storiche del Sud, soggette peraltro ad un processo di abbandono sempre più intenso, causa anche il processo di desertificazione in atto nel sud, oltre che per una molteplicità di fattori negativi che hanno caratterizzato le politiche governative in particolare negli ultimi 30 anni e che hanno aumentato a dismisura il divario già ampio nord-sud e consegnato ad una nuova emigrazione altre generazioni non.
Non emerge ancora chiaramente la consapevolezza, data la scarsa dotazione finanziaria e di conseguenza la limitata possibilità di intervento, che cultura e turismo rappresentato non solo un fattore di crescita e di occupazione del Sud, ma di tutto il contesto nazionale in termini di sviluppo sostenibile e integrato in un quadro che ha valenze sociali, economiche e ambientali.
Purtuttavia, occorre considerare che le strategie messe in campo, pur non sostenute da investimenti adeguati, sono da valutare con attenzione e da sostenere se usciranno dai limiti ristretti del loro scadente quadro economico.
Le azioni messe in campo si possono così riassumere:
azioni pilota integrate di riqualificazione dei centri storici urbani e del patrimonio pubblico basate sulla valorizzazione culturale;
interventi di promozione relativi a specifiche manifestazioni, produzioni e co-produzioni (prodotti audiovisivi) nazionali ed internazionali;
azioni per aumentare l’attrattività turistica al fine di generare uno sviluppo sostenibile dei territori, in particolare facendo leva sull’identità culturale e sull’offerta turistico-culturale;
azioni per rafforzare le capacità istituzionali a supporto dell’attuazione del Piano.
La cultura viene giustamente vista, ormai, sia nelle sue componenti materiali che immateriali, come fattore di sviluppo sociale ed economico, ma chiaramente non bastano le buone intenzioni, occorre un piano di investimenti strutturale e infrastrutturale che renda concretamente possibile raggiungere con facilità le aree archeologiche e storiche oggetto di interventi di tutela. Non è affatto indifferente considerare in questo contesto le carenze infrastrutturali che hanno penalizzato il Sud negli ultimi decenni. Il Sud si presenta agli appuntamenti della cultura, come a quelli del commercio, del turismo, della mobilità interna, con una rete ferroviaria tipica del Novecento, spesso non elettrificata, a binario unico adatta alla lenta mobilità che disaffeziona gli utenti; con carenze penalizzanti nella sua rete autostradale e stradale; con linee di comunicazione aeree limitate e non adeguate al turismo e alla fruizione culturale.
La scarsità delle risorse finanziarie messe a disposizione dal Piano operativo “Cultura e turismo”, e ancor di più l’assenza di previsti investimenti per colmare il gap infrastrutturale tra nord e sud del paese, pone dei seri limiti al raggiungimento progettato del riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese.
Riguardo al punto 2 del piano, che prevede investimenti a sostegno di produzioni audiovisive e dello spettacolo incentrate su luoghi, personaggi, eventi storici che contribuiscono al rafforzamento dell’identità nazionale e della coesione del Paese, non possiamo non sottolineare che non si sia mai dato peso al Sud, alla sua storia e alla celebrazione dei suoi tanti personaggi che hanno avuto rilevanza storica, sociale e culturale antecedente il 1860.
La storia del Sud non inizia nel 1860, ma attraversa millenni. Dal 1860 inizia la storia del Sud nello stato italiano, una storia travagliata e l’inizio di un vero processo di colonizzazione interno. La storia antecedente al 1860 è stata letteralmente occultata per fini politici e con metodi propagandistici. La storia del Sud comprende anche il periodo borbonico che va reinserito nel suo vero contesto storico e culturale e quello del cosiddetto “brigantaggio”. Nella cultura del Sud, quel particolare mondo contadino che ha fatto capo alla rivolta contro coloro i quali arrivarono con le armi a conquistarlo durante il processo unitario, è vivo e vegeto; non può più continuare ad essere considerato un fenomeno di delinquenza comune, ma va analizzato in un contesto storico fuori dalla pesante e pedante agiografia risorgimentale e celebrato con la dignità che merita, altrimenti si continuerà ad intendere una parte del paese lombrosianamente degenerata.
Nelle realtà si è riusciti a dar vita, in linea con l’azione numero 1, ad attività culturali quali laboratori permanenti e multidisciplinare di cultura creativa, a creare luoghi di incontro, di educazione, di formazione professionale e di progettazione condivisa, i risultati sono risultati del tutto soddisfacenti, ma dette realtà sono limitate.
Lo stessa idea di raccogliere in un unico luogo di gestione congiunta le attività culturali di Enti Pubblici, Istituzioni Culturali e Attività Private, favorendo l’accoglienza, la ristorazione, spazi per la convegnistica, la formazione, mostre permanenti e temporanee, ha dato esiti positivi laddove si è riusciti a mettere in mostra la vetrina culturale del territorio.
Ma il limite resta sempre lo stesso: quanto lo Stato è disposto a spendersi in termini finanziari per estendere le buone idee ad una moltitudine di realtà culturali, archeologiche e storiche, anche in riferimento ad un Sud difficile da raggiungere a causa di strutture e infrastrutture fatiscenti ed obsolete che limitano persino la comunicazione culturale interna.
In riferimento al punto 4, che tiene giustamente conto della grande difficoltà di alcuni Comuni, particolarmente quelli più piccoli e del Sud, di garantire un livello adeguato di progettazione esecutiva, risulta necessario considerare che l’esigua somma messa a disposizione di soli 40 milioni annulla del tutto le buone intenzioni.
Nell’ambito di un piano di azioni culturali per il Sud ci sembra d’obbligo dare forza e valenza ad una letteratura e ad una cinematografia che sono state ignorate e ridimensionate e sostituite da una visione agiografica prevalentemente descrittiva di un Regno delle Due Sicilie non solo arretrato, ma già sottosviluppato all’atto della tragica occupazione militare del 1860. Un sottosviluppo che, come affermano ormai numerosi e valenti studiosi ed economisti, si è manifestato pienamente solo a seguito delle politiche doganali del 1887.
Infatti, con i programmi Coppino del 1867, quando l’insegnamento della storia letteraria divenne disciplina autonoma, impegnando la nascente editoria scolastica a corrispondere alle indicazioni ministeriali, la Storia della letteratura di Francesco De Sanctis divenne il prodotto stesso della “Scuola del Risorgimento”, negando che, mentre, con il 1861, Nord e Sud della penisola si fondavano in un’unica realtà politica, a partire dai primi decenni post-unitari si ha una vera “secessione” letteraria tra meridione e settentrione, frutto dell’amara delusione di democratici, repubblicani e autonomisti, falliti gli ideali della «rivoluzione» promessa e non mantenuta.
È invece la narrazione di Edmondo De Amicis a farsi largo nella cultura e nella scuola, il quale con il romanzo Cuore, mette in luce un presente farcito di buoni sentimenti quali la patria, la famiglia, i doveri, lo spirito di sacrificio. Un’opera possentemente divulgata attraverso i moderni programmi della pubblica istruzione e che i governi liberali apprezzano anche sotto l’aspetto pedagogico ed educativo. Quella che abilmente De Amicis diffonde nel sentire comune è una percezione alterata di un Risorgimento edulcorato e romantico, risultato di un ampio movimento popolare, non di una minoranza elitaria.
In realtà, il Sud, che subisce il peso di politiche fiscali e doganali, produrrà una letteratura poderosa ma ignorata, passando da Giovanni Verga a Matilde Serao a Federico De Roberto, fino a Luigi Pirandello; da Corrado Alvaro a Ignazio Silone e Carlo Levi; da Leonardo Sciascia a Tomasi di Lampedusa; da Carlo Alianello a Francesco Jovine a Rocco Scotellaro; da Vincenzo Buccino ad Anna Banti; da Vincenzo Consolo ad Andrea Camilleri. Racconti, novelle e romanzi che, spesso, saranno ripresi e adattati dalla cinematografia italiana o dalla televisione italiana del Secondo dopo guerra.
Sotto questo aspetto, un serio piano culturale per il Sud non può non considerare che continuare ad occultare la vera storia del Sud significa ormai anche negare la moderna critica letteraria e cinematografica. Il progetto della Gelmini del 2011 di eliminare tanti degli autori sopra citati dalle indicazioni ministeriali dei programmi delle scuole va decisamente contrastato e criticato.
In particolare per quanto riguarda l’industria dello spettacolo nel Mezzogiorno, vi è da rilevare che in una società dove il terziario ha sempre più peso nella bilancia economica, la concezione della cultura (editoria, cinema, teatro, danza, musica, pittura, scultura, etc… ) come qualcosa con cui non si mangia è fuori dal tempo e da qualsiasi possibile evoluzione. Eppure è la concezione che si ha dello spettacolo in Italia, pur essendo un settore che impiega centinaia di migliaia di lavoratori e produce circa 3 miliardi di euro all’anno a fronte di un finanziamento di 366,4 milioni di euro annui. Dei 366,4 milioni di FUS (fondo unico per lo spettacolo) circa l’80% viene destinato ai teatri, fondazioni, imprese ed enti culturali del nord Italia (Toscana, Umbria, Emilia Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia). Eppure l’Italia è al terz’ultimo posto in Europa per risorse destinate alla cultura, ergo il sud Italia è all’ultimissimo posto!
Oltre ai finanziamenti derivanti dal FUS ci sono i finanziamenti degli enti locali, Regione e comuni principalmente, ma anche Fondazioni Bancarie (presenti quasi esclusivamente al Nord Italia) e sponsor di imprese pubbliche e private, anche questi presenti massivamente al nord Italia per le ragioni a tutti note.
La disparità di trattamento negli investimenti pubblici e privati nell’ambito dello spettacolo non ha impedito alla creatività meridiana di esprimersi comunque e a solo titolo esemplificativo citiamo Pirandello, Eduardo De Filippo, Camilleri, Totò, Troisi e ancora Tornatore, Salvatores, Sorrentino….
Certo che viene retoricamente da chiedersi: come mai la creatività è a sud e i soldi vanno al nord? La risposta sta nel Piccolo Teatro di Milano, Teatro D’Europa, il teatro più finanziato di sempre (circa 4 milioni e mezzo all’anno solo dal FUS), capace di esprimere la creatività quasi esclusivamente nel teatro di regia dove la capacità economica è fondamentale.
Quale misura adottare per un lancio delle attività dello spettacolo nelle regioni del sud cercando di mantenere un principio di equità? Probabilmente servirebbe una riforma radicale nell’approccio alle politiche per lo spettacolo in Italia, un diverso modo di distribuire i finanziamenti senza creare possibili distrazioni come avviene nell’iniquità delle commissioni che assegnano i fondi che di fatto sono totalmente arbitrarie e politicamente dirette.
Un breve discorso a parte meritano le fondazioni bancarie, ormai tutte del nord e che finanziano le attività teatrali e cinematografiche, spettacoli e intrattenimenti. Come mai questi finanziamenti prendono sempre la direzione nord pur rastrellando denaro anche a sud?
Proponiamo delle agevolazioni legislative per l’utilizzo del patrimonio archeologico che conta centinaia di siti e decine di teatri di pietra greco-romani, spesso in stato d’abbandono e per niente utilizzati, sia per la mancanza di fondi ma spessissimo per una legislazione fortemente ostativa.
Proponiamo la formazione di factory musicali riproponendo l’esperienza pugliese che ha prodotto numerosi esempi di gruppi ed artisti che sono riusciti ad imporsi sul mercato Italiano e mondiale.
Per quanto riguarda il cinema basta guardare cosa è successo a Matera dopo l’uscita del film di Mel Gibson “La Passione di Cristo”. Il cinema potrebbe diventare una forma di pubblicità a livello mondiale per attrarre turismo.
Noi non chiediamo finanziamenti come quelli dati al nord, per noi è necessario per le imprese teatrali, cinematografiche o culturali in genere ma proponiamo uno shock fiscale con l’istituzione di una macroregione come Zona Economica Speciale. Un abbattimento delle tasse per le imprese dello spettacolo e le attività culturali al 5% che attrarrebbe capitali e avvierebbe una vera e propria industria dello spettacolo!
Raffaele Vescera*, Roberto D’Alessandro*, Michele Eugenio Di Carlo*
*Direzione Nazionale Movimento 24 agosto per l’equità territoriale