Ho letto con interesse l’articolo apparso il 29 settembre sull’ Indygesto dal titolo Pino Aprile non è il benvenuto. La proposta dei ricercatori, firmato da Antonella Fiorio e Federico Palmieri dell’Università di Bari e da Christopher Calefati dell’Università di Pavia.
Mi ha particolarmente colpito la volontà dei tre autori di contestare «la marcia politica del giornalista e scrittore Pino Aprile » che – a loro dire – «da novello brigante» appare «deciso a chiedere un riscatto per i torti che il Sud avrebbe subito negli ultimi centocinquanta anni». I tre giovani ricercatori appaiono amareggiati perché nonostante «già questo basterebbe a sbarrargli gli ingressi», il Comune di Polignano a Mare, come tanti altri non solo nel Sud, «al contrario, ha concesso all’evento il patrocinio gratuito», favorendo quindi un’ iniziativa politica che «ha per fondamento una lettura vittimaria e filo-borbonica della storia risorgimentale, priva di qualunque fondamento scientifico».
Su questo primo aspetto, in realtà, mi sembra di poter chiarire che l’iniziativa politica del “Movimento 24 agosto” nasce dall’esigenza di rimettere al centro del dibattito l’ignorata Questione Meridionale e di riprodurre una dibattito atto a colmare il divario nord – sud che è stato aggravato dalle politiche governative degli ultimi 30 anni, come eminenti studiosi, accademici e non, hanno messo in evidenza.
Ritornando alla ricerca storica, nell’ambito della quale la Società italiana per lo studio della Storia contemporanea, il Coordinamento delle Società storiche, la Società napoletana di Storia Patria, hanno preso giustamente «le distanze da un uso pubblico della storia fortemente strumentale», i tre autori nella nota criticano l’approccio ad una visione storica « aproblematica e semplificatoria degli eventi risorgimentali, che evita il confronto con i risultati della più recente storiografia che ha indagato criticamente il processo di unificazione, superando le letture ideologiche e le opposizioni nette fra modernità e arretratezza», ribadendo il concetto che le istituzioni non devono assecondare chi sfrutta la storia per finalità politiche.
Su questo secondo aspetto si spera che i tre ricercatori abbiamo preso atto che a rendere semplificato il quadro degli eventi risorgimentali sia stato proprio un’agiografia risorgimentale tesa a far emergere e diffondere nel sentire comune una percezione alterata di un Risorgimento edulcorato e romantico. Un’agiografia al limite della mitologia che è stata apprezzata e diffusa dagli ambienti liberali e governativi della seconda metà dell’Ottocento, quando al trasformismo politico in atto serviva propagandare un processo unitario falsato, epico e leggendario.
A detta dei tre autori della nota il best-seller Terroni avrebbe falsamente presentato « l’annessione del Mezzogiorno come conquista armata attuata dall’esercito sabaudo per mezzo di incendi, stragi e sottrazione di ingenti ricchezze», con una narrazione crollata «sotto i colpi delle autorevoli ricerche di storici di professione».
Da studioso non accademico, è su questo terzo punto che voglio soffermarmi, non avendo trovato ricerche recenti di storici di professione che abbiamo smentito la circostanza che il Regno delle Due Sicilie sia stato conquistato militarmente a seguito della convergenza di interessi inglesi e sabaudi mettendo in campo atti ritenuti universalmente contrari al diritto internazionale dell’epoca. Sulla sottrazione di ricchezze al Sud basterebbe poi semplicemente far riferimento al Corso Forzoso del 1866 che diede un colpo mortale al Banco di Napoli e all’industria del Sud.
Lasciando perdere slogan populistici e propaganda spicciola entriamo ora nel merito della ricerca storica: è stato accertato che anche per Cavour, totalmente assorbito dalle polemiche interne ed esterne conseguenti alle annessioni nel centro Italia, non era il momento propizio per sostenere i moti siciliani e impegnarsi nell’organizzazione di spedizioni militari in Sicilia.
Pietro Pastorelli, professore emerito di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Roma “La Sapienza” e presidente della Commissione del Ministero degli Esteri per la pubblicazione dei Documenti Diplomatici Italiani, dopo aver consultato l’ultima edizione completa dei Carteggi di Cavour e i documenti editi dagli archivi inglesi, francesi, e prussiani, non ha lasciato alcun dubbio sul fatto che sia stata l’Inghilterra ad incoraggiare e sostenere l’azione militare in Sicilia.
Le critiche della Gran Bretagna al trattato franco-piemontese del 24 marzo 1859 erano note, l’annessione della Savoia e di Nizza alla Francia avevano raggelato i rapporti tra Londra e Parigi e indotto il governo inglese ad emettere un giudizio di totale inaffidabilità sul Conte di Cavour. Il pericolo che si potessero riaprire le porte d’Oriente alla Russia a cui il Regno delle Due Sicilie era particolarmente legato e che la Francia potesse allargare la sua influenza anche in Italia meridionale, mettevano in discussione l’egemonia economica e commerciale della Gran Bretagna nel Mediterraneo.
Già il 5 aprile Cavour, sospettando l’azione inglese nell’insurrezione di Palermo, contattava telegraficamente d’Azeglio, ambasciatore a Londra, affinché indagasse su tale eventualità. Secondo d’Azeglio si trattava di voci circolanti attraverso canali francesi, a loro volta accusati dagli inglesi di voler mettere sul trono di Napoli l’erede di Murat. Peraltro, Cavour già il 6 aprile convocava Hudson, ambasciatore inglese a Torino, per chiarire nuovamente che la cessione di Nizza e della Savoia non era il segno di un’ingerenza francese e di una subordinazione di Torino negli affari che riguardavano la penisola italiana. Qualche giorno dopo d’Azeglio, sempre in contatto con il Primo ministro inglese Palmerston, riferiva al Conte che l’atteggiamento di sfiducia del governo inglese nei suoi riguardi non era affatto mutato e che ulteriori altre annessioni italiane favorite dalla Francia non sarebbero state accettate dall’Inghilterrai.
Pastorelli deduce dai comportamenti la linea seguita dagli inglesi, la quale si risolse nel sostenere con un accordo segreto l’operazione militare di Garibaldi senza nemmeno contrattare il Primo ministro sabaudo di cui Palmerston continuava a non fidarsi. Naturalmente, il sostegno a Garibaldi doveva essere negato anche di fronte all’evidenza per evitare reazioni di Francia, Austria, Russia e Prussiaii.
L’accordo con Garibaldi era già stato raggiunto, quando il 30 aprile il ministro degli Esteri inglese Russel trasmetteva a Hudson le istruzioni sulla linea politica che il governo torinese avrebbe dovuto seguire per andare incontro agli interessi inglesi. Londra desiderava il non intervento di Torino nelle questioni riguardanti il Regno delle Due Sicilie, non perché contraria all’estensione dei domini sardi al resto d’Italia, ma perché convinta che un intervento diretto del Piemonte avrebbe comportato l’intervento armato dell’Austria e per reazione quello della Francia a difesa di Torino. Un’eventualità del genere avrebbe comportato l’ulteriore cessione di territori italiani alla Francia (Liguria o Sardegna) e uno squilibrio nella preponderanza inglese nel Mediterraneo. Era questa la ragione precisa per cui, in assenza di rapporti fiduciari con Cavour, l’Inghilterra si apprestava a sostenere l’impresa azzardata e “piratesca” di Garibaldiiii.
E altresì questo probabilmente il motivo per cui Garibaldi mutava diplomaticamente atteggiamento nei riguardi di Cavour, dopo la frattura dei loro rapporti seguita alla cessione di Nizza.
Giuseppe Galasso, a proposito del comportamento di Garibaldi in quel frangente, scrive che ha «lucidamente inteso le condizioni che possono agevolare la sua impresa: mantenere a ogni costo il rapporto con Torino, per averne l’appoggio diplomatico e militare, e per mostrare con i fatti di non procedere nel Mezzogiorno ad alcuna sovversione dell’ordine sociale, garantendo insieme l’opinione pubblica europea e la borghesia meridionale»iv.
Infatti, Garibaldi, temendo impedimenti e ostacoli dell’ultima ora da parte del Conte, il quale avendo avuto conferma dell’appoggio inglese alla spedizione si era convinto, al pari di Vittorio Emanuele II, dell’utilità di favorirla, vinceva la forte inimicizia e la palese antipatia scrivendogli un messaggio per invitarlo a chiamare alle armi ogni uomo utile all’impresa. Un invito che produceva, secondo Pastorelli, la convocazione il 2 maggio del Generale a Bologna, dove incontrava Vittorio Emanuele II e Cavour, illustrava i piani dell’impresa, confermava l’appoggio inglese, riceveva l’approvazione sotto copertura del Re e del Primo ministrov.
In effetti, Garibaldi non aveva ricevuto da parte del governo di Torino nessun ostacolo ai preparativi degli ultimi giorni della partenza del Piemonte e del Lombardo da Quarto e alla navigazione verso la Sicilia.
Concretamente, mentre Vittorio Emanuele II era del tutto convinto e partecipe dell’ iniziativa garibaldina, Cavour si trovava davanti ad eventi imprevisti che non era riuscito ad impedire proprio e soprattutto a causa del sostegno inglese. Tra l’altro, si profilava una guerra non dichiarata a Francesco II di cui occorreva ipocritamente , e ad ogni costo, negare l’evidente sostegno di fronte ad una incalzante diplomazia europea, che non avrebbe tardato a dichiarare leso il diritto internazionale esistente nei rapporti tra stati.
L’imbarazzo del Conte emergeva in una lettera trasmessa a Nigravi, ambasciatore piemontese a Parigi, il 12 maggio, che evidentemente gli aveva comunicato le perplessità e le contrarietà del ministro degli Esteri francese Thouvenel. Risultava chiaramente che il governo non poteva rischiare l’impopolarità arrestando Garibaldi in quel contesto e in quel momento.
Tra l’altro, Di Rienzo, riprendendo una lettera di Massimo d’Azeglio all’ammiraglio Carlo Pellionvii, conte di Persano, ha riportato alla luce che il vero piano affidato da Cavour all’ammiraglio era quello di condurre «una guerra non dichiarata, sotto neutralità apparente, contro Francesco II, per modo che resti sempre al governo del Re qualche appiglio per uscire d’inciampo». Da quanto riportato si evince chiaramente dalle sue stesse parole che il Conte sosteneva un’azione illegale, contro il diritto internazionale, temendone le ripercussioni a livello europeo. Quindi, il compito di Persano non era quello dichiarato di avversare il progetto, ma di fornire assistenza a Garibaldi e a tutte le spedizioni successive di uomini e di mezzi, ponendo tutti gli impedimenti possibili alla reazione della flotta borbonica, anche al costo di continuare a corrompere gli ufficiali napoletani favorendone il trasferimento sotto le insegne della Marina dei Savoiaviii.
Alla luce delle prove documentali sopra citate non appaiono affatto insignificanti e esagerate le considerazioni di Pino Aprile; e neppure quelle mai tenute nel dovuto conto del legittimista Giacinto de’ Sivo, il quale era evidentemente in possesso di documenti di prima mano persino attestanti le insidie straniere che covavano sotto il fuoco dei preparativi della spedizione siciliana.
di Michele Eugenio Di Carlo
Socio della Società di Storia Patria per la Puglia – Meridionalista