“Canova e l’antico”: in mostra, a Napoli, lo scultore del sublime. Boom di presenze per un evento di caratura internazionale

“Canova e l’antico”: in mostra, a Napoli, lo scultore del sublime. Boom di presenze per un evento di caratura internazionale
Giugno 29 16:35 2019 Print This Article

Napoli -Dopo un successo indiscusso di critica e di pubblico, chiuderà a breve i battenti, uno degli eventi museali più imponenti, svoltosi a Napoli, nel corso della passata primavera. Dal 28 marzo al 30 giugno, alcune delle sale più prestigiose del Mann- Museo Archeologico Napoli hanno ospitato la mostra “Canova e l’antico”, curata dal massimo studioso del genio dell’arte neoclassica, Giuseppe Pavanello, e organizzata da Villaggio Globale International, in collaborazione con l’Ermitage di San Pietroburgo, attraverso una serie d’interventi avviati già nel 2017 con questo museo, che custodisce la maggior parte delle opere dell’artista veneziano. Centoundici lavori, distinti in dodici straordinari marmi, modelli di gesso, disegni, dipinti e plastici, dialoganti con tanti capolavori artistici già presenti al Mann, hanno invitato l’incantato spettatore a ripercorrere un itinerario ideale tra l’antico e le sublimi invenzioni artistiche di Antonio Canova, nell’ambito di una “mostra-evento straordinaria per tematica e corpus espositivo”.  “L’ultimo degli antichi e il primo dei moderni”, che nel monito del padre del Neoclassicismo, Johann J. Winclelmann, di imitare e non copiare gli antichi per “diventare inimitabili”, imbriglia il Canova in un’intensa e fruttuosa sintonia tra Antico/Moderno, che si palesa quale costante indispensabile nel linguaggio artistico dello scultore. Diversi i prestiti internazionali che hanno composto il nucleo artistico della Mostra, oltre ai marmi provenienti dalla Russia, tra cui la bellissima Ebe, (1796), il sensualissimo gruppo scultoreo di Amore e Psiche stanti, (1803) e Le tre Grazie (1812-1816). Commissionata dalla prima moglie di Napoleone Bonaparte, Josèphine Beauharnais, l’opera marmorea del Canova sintetizza nei “movimenti fluenti” nascenti l’uno dall’altro, “l’eleganza e l’armonia dei corpi” delle tre Grazie in un ideale neoclassico della bellezza. La disarmante delicatezza del gruppo marmoreo, rinnova le origini raffinate dello scultore, che lontano dal cristallizzare i canoni artistici del Neoclassicismo, li indirizza a nuova vita, instillando loro “la grazia e il ritmo leggero del Settecento veneziano.” Oltre a Venezia, sua città natale, e Roma, sua città ideale, Antonio Canova strinse un patto “d’amorosi intenti” con la città di Napoli, giungendovi nel gennaio del 1780, all’età di ventidue anni. L’empatia intellettuale con la capitale borbonica, effetto in primo luogo della “necessità” di ogni artista di metà settecento che si rispettasse, di visitare la patria degli scavi di Pompei e Ercolano, lo conquista, lo inebria, l’attrae. Si racconta, che nel visitare la Cappella San Severo, sia restato folgorato a tal punto dal Cristo Velato di Giuseppe Sanmartino, da dichiarare non solo la sua ambizione nell’acquistarlo, ma finanche il suo passionale desiderio di averlo voluto realizzare. Tra le committenze napoletane di quegli anni, si attesta la maestosa statua di Ferdinando IV di Borbone, che ebbe, nel corso d’opera, una vicenda complessa, fino alla sua collocazione nel Museo Borbonico (ex Palazzo degli studi ed attuale Museo Archeologico), nel 1821, a cura dell’architetto Pietro Bianchi, nel luogo indicato dallo stesso Canova sullo scalone monumentale, in “gesti” scultorei di una rediviva Minerva.

Un’ultima curiosità: una delle due statue equestri bronzee, che si trovano a Piazza del Plebiscito, ovvero quella di Carlo III di Borbone, fu realizzata dal Canova nel 1815, rivelando così tutta la maestria dell’artista, in un “gusto squisitamente neoclassico”.

di Elisabetta Nappo

 

 

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