Dalle miniere neolitiche di selce del Gargano a quelle del carbone in Belgio

Dalle miniere neolitiche di selce del Gargano a quelle del carbone in Belgio
Gennaio 18 15:17 2019 Print This Article

Vieste – In un convegno di studi, tenutosi a Vieste il 22-23 maggio 1982, riguardante la ricerca archeologica nel territorio garganico (La ricerca archeologica nel territorio garganico, Atti a cura del Centro di Servizio e Programmazione Culturale Regionale, Foggia, Grafisud, 1984), uno fra i più illustri studiosi europei della Preistoria, il prof. Arturo Palma di Cesnola, lesse una relazione facendo il quadro sulla preistoria nel territorio di Vieste, dal Paleolitico inferiore alla fine dell’Eneolitico.

Il celebre e stimato studioso, nella premessa, tenne doverosamente a precisare che, fino a pochissimi anni prima, le conoscenze sulla Preistoria antecedenti l’Età del Bronzo riguardanti il territorio di Vieste erano del tutto modeste e che la svolta positiva al riguardo si era avuta dagli anni 1978-79, quando si ebbero i primi e fruttuosi contatti tra l’Università degli Studi di Siena e i valenti ricercatori locali Antonio Cirillo, Giuseppe Ruggieri e Angelo Vaira, nei confronti dei quali si espresse con queste testuali parole:

«… il panorama della Preistoria paleo-neo-eneolitica del territorio viestano si è fortemente ampliato, mentre si sono potuti approfondire i singoli momenti che scandiscono il lungo periodo di cui trattiamo. E ciò si deve – teniamo a ripeterlo – all’opera di prospezione, segnalazione e raccolta meticolosa e intelligente dei nostri giovani amici e collaboratori viestani».

Dagli studi citati è emerso un Gargano autentico distretto minerario della Preistoria con ben diciotto miniere presenti nel territorio dei comuni di Vico del Gargano, Peschici, Vieste e Mattinata.

Infatti, proprio l’anno prima del convegno, nel 1981, nel tenimento di Vieste era stata scoperta, ad opera dei giovani ricercatori Giuseppe Ruggieri e Antonio Cirillo, la più antica e grande miniera d’Europa per l’estrazione di noduli di selce, materiale largamente utilizzato già nel Neolitico Antico prima dell’uso dei metalli. I rilievi eseguiti nel 1986 dal prof. Attilio Galiberti, docente dell’Università di Siena, sul versante sud-orientale di località “Intreseglio-Defensola”, hanno riportato alla luce picconi da miniera, ceramiche, lucerne di pietra, punteruoli d’osso, resti di fauna (La miniera della Defensola, in «Archeologia Viva», n. 22, settembre 1991).

Il Gargano dalla conformazione calcarea e dalla natura carsica ha da sempre presentato rocce e pietre utili alle attività umane. Gli accumuli di sabbie retrodunali venivano utilizzate nelle malte cementizie e dalla pietra bianca e tenera di Monte Sant’Angelo si preparavano intonaci e si ottenevano  preziosi altari per le chiese e artistiche statuette dell’Arcangelo Michele incise dalle mani esperte di abili scultori locali. Dalla pietra dura e pesante si preparava la calce, mentre la pietra “molare” veniva utilizzata negli antichi frantoi per estrarre l’olio dalle olive. Se le selci taglienti erano state estratte, lavorate e commercializzate nell’intero Mediterraneo sin dal Neolitico,  col tenero tufo si costruivano le case dal Settecento.  I filoni di pietre stratificate erano utilizzati per ricoprire i tetti delle case, mentre  dalle cave di San Giovanni Rotondo, in località “Caldaroso”, e di Apricena e di Poggio Imperiale, si estraevano i marmi che avrebbero impreziosito i palazzi reali di Napoli capitale.

Le pietre, anche nel Settecento, venivano estratte mediante esplosioni prodotte da mine riempite da polvere pirica. L’utilizzo di mine riempite di polvere pirica era un altro argomento sul quale lo scienziato Michelangelo Manicone faceva le sue riflessioni di natura chimico-fisiche, al fine di risparmiare polvere pirica grazie all’aggiunta di ossigeno ed ottenere migliori risultati. Ma, come spesso gli accadeva, rassegnato, concludeva sarcasticamente che non meritava di «esser deriso come insensato vaneggiatore» da garganici che ne sapevano «tanto quanto, ne sanno i Kamtschadali popolo selvaggio del Nuovo Arcipelago settentrionale scoperto di fresco da’ Russi».

Nel 1936, la Montecatini di Milano avrebbe iniziato i processi di estrazione della bauxite, un miscuglio di vari minerali che si trovava facilmente all’interno di cavità comprese tra i calcari argillosi in località “Quadrone” del territorio di San Giovanni Rotondo. La bauxite, da cui si estraeva l’alluminio, veniva caricata a Manfredonia e spedita via mare a Marghera per la produzione di aerei, mobili, lampadine ed aveva anche lo scopo di sostituire il rame proveniente dall’estero durante il periodo autarchico e in prossimità dell’imminente guerra. La miniera di San Giovanni divenne una delle più grandi d’Europa, si estendeva su ben 1640 ettari che sconfinavano anche nel territorio di San Marco in Lamis. Giunse ad occupare 600 operai e ad assicurare una produzione di 200 mila tonnellate all’anno, nonostante le ampie falle per la sicurezza e per la salute degli operai. Fu chiusa arbitrariamente dalla Montedison, nata dalla fusione tra Montecatini ed Edison nel 1973, con una prassi tipica di quelle attuate nelle aree colonizzate.

Nel Secondo dopoguerra, migliaia di braccianti e contadini del Gargano, discendenti e fieri eredi degli antichi minatori del Neolitico, furono costretti dalle condizioni di totale subalternità in cui erano stati relegati forzatamente dal processo unitario in poi  fino a tutto il periodo del fascismo, ad emigrare nelle miniere del Belgio, della Francia e della Germania.

Un antico e orgoglioso popolo di minatori lasciava la propria terra e si incamminava tristemente verso le miniere di un altro mondo.

 

 

di Michele Eugenio Di Carlo

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