Turismo sì o turismo no? Aporie, confusioni e possibili soluzioni

by fastadmin | 31 Luglio 2024 18:58

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Il fenomeno del turismo attrae una serie di situazioni disparate e multiformi, collocate in uno spazio molto vasto, coinvolgendo, senza soluzione di continuità ed oggi più che mai, una gran moltitudine di soggetti, in quasi tutto il pianeta Terra.

Di fronte al turismo l’approccio è variegato: ci sono persone a cui il turismo interessa poco o nulla, persone che ne fanno una ragione di vita, persone che ne traggono sostentamento e, infine, persone che ne sono profondamente infastidite e danneggiate.

Non v’è concordia di opinioni sul fatto che il turismo possa essere considerato un diritto espressamente riconosciuto dalla Costituzione Italiana.

Secondo alcuni pensatori tale riconoscimento proverrebbe dall’art. 16 Cost., secondo cui “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge”.

A ben vedere, però, il turismo sembra costituire un concetto diverso dalla libera circolazione delle persone nel territorio italiano, posto che è ben possibile entrare in Italia e soggiornarvi per motivi assai diversi da quelli turistici.

Ed allora per alcuni commentatori è parso più appropriato ricomprendere il turismo nella più ampia previsione dell’art. 2 Cost., secondo cui, com’è risaputo, “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Tale ricomprensione, tuttavia, non può essere condivisa, poiché il turismo non è certo un diritto inviolabile della persona (come lo sono, ad esempio, la salute, l’associazione, la riunione, la libertà personale, la comunicazione, l’ambiente, diritti non a caso contemplati da specifiche disposizioni della ex Regina delle Fonti) e, perciò, esso può, piuttosto, essere considerato (più che un principio) una possibilità, una facoltà, un modo attraverso il quale l’essere umano può assicurarsi il godimento di altri diritti (es. il riposo dopo un lungo periodo di lavoro).

Diviene importante, nell’ottica del discorso intrapreso, circoscrivere il concetto di turismo e questo risulta possibile anche dando innanzitutto una definizione negativa di turismo, ossia stabilire ciò che turismo non è.

Non è turismo lo spostamento permanente di una persona per un medio o lungo periodo di tempo, determinato da motivi di lavoro.

Non è turismo il raggiungimento di una certa località, nazionale o estera, determinato da motivi contingenti, transeunti e occasionali (es. andare in un certo posto per sottoporsi a un intervento chirurgico, per ritrovare un familiare che non si vedeva da tempo, per partecipare a qualche evento popolare).

Non è turismo, ancora, andare da un posto all’altro perché nel posto in cui si vive non c’è lavoro (il fenomeno in commento, solitamente connotato dal cambiamento di nazione, prende il nome di emigrazione, rispetto alla persona che si sposta dal territorio, e di immigrazione, rispetto allo Stato ospitante e alle persone dello Stato ospitante).

Non è turismo, infine, lo spostamento di una persona da un posto all’altro determinato da motivi di forza maggiore (terremoti, nubifragi, alluvioni, disastri ambientali, ecc.).

Il turismo, quindi, potrebbe essere definito quale spontaneo spostamento di un essere umano da un luogo all’altro del pianeta per ragioni legate al soddisfacimento di interessi individuali in qualche maniera collegati al piacere (del corpo e/o dell’anima).

Esistono varie forme di turismo, le quali non è detto possano o debbano necessariamente essere attratte in schemi precostituiti.

Epperò, per mera comodità del lettore, sarà bene suddividere il discorso (e senza che ciò costituisca un esercizio dogmatico o, peggio, senza che ciò possa indurre a pensare che debbasi giocoforza schematizzare tutti e tutto, come, invece, è solito, purtroppo, fare l’odierno incompetente legislatore) provvedendo a raggruppare il fenomeno turistico in cinque grandi categorie.

Per la precisione: a) il turismo religioso, motivato da fattori di credo e diretto al raggiungimento di specifiche località mistiche ovvero di paesi in cui abbiano vissuto Santi, Beati o, comunque, persone che abbiano fatto della religione (di qualsiasi religione) la propria unica ragione di Vita; b) il turismo culturale, motivato da fattori di alimentazione del bagaglio generale di conoscenze che ogni sano essere umano desidera accrescere e stimolare e diretto al raggiungimento di città e di località apprezzabili dal punto di vista architettonico, scultoreo, pittorico, artistico, cinematografico, teatrale, musicale, museale, ecc.; c) il turismo vacanziero, motivato da fattori di godimento del meritato riposo post lavoro e diretto, in genere, verso località marine, montane, lacustri e di similare genere; d) il turismo sportivo, motivato da fattori legati allo svolgimento di competizioni sportive di vario tipo e diretto al raggiungimento di località designate in coincidenza di grandi occasioni, che si ripetono ciclicamente nel tempo (è il caso delle Olimpiadi attualmente in corso, figlie dell’esperienza inaugurata dall’Antica Grecia, cioè la Magna Graecia); e) il turismo sessuale, motivato da fattori legati allo sfogo di impulsi primordiali degli esseri umani e diretto al raggiungimento di località in cui sia possibile trovare il pur effimero piacere senza compiere grandi sforzi di corteggiamento (tale fenomeno, di solito a pagamento, riguarda specificamente talune aree territoriali del Sudamerica, del Centroamerica, dell’est Europa e del sud est asiatico – con le dovute proporzioni in riferimento a paesi che, pur rientrando in quella zona, ne sono, tuttavia, immuni – e dalla consultazione di alcune statistiche si apprende che esso concerne per il 90% gli uomini in cerca di giovani e poco vestite ragazze di facili costumi e per il 10% alcune signore non più giovani, ma giovanili, e comunque spregiudicate, che ricercano, solitamente nei Caraibi o in qualche nazione africana, un giovane e prestante ragazzo con cui trascorrere la vacanza prescelta).

Il presente contributo riguarda il turismo di cui ai punti sub b) e sub c), che rappresentano la maggioranza del fenomeno turistico in generale, non essendo possibile, in questa sede, esaminare i pur descritti ulteriori fenomeni turistici.

Entrambe le categorie in considerazione (turismo culturale e turismo vacanziero) risultano essere contraddistinte da aporie, giacché da un lato si predica (da parte degli organi istituzionali e di quelli di dis-informazione di massa) che il turismo è una bella cosa, che bisogna viaggiare e spender monete in giro, che è utile vedere e conoscere posti nuovi e persone nuove (nel senso di posti e persone ulteriori rispetto a quelle che già si conoscono) e dall’altro lato si continua a impoverire la gente comune, aumentando – e non di poco – il costo di accesso alle località turistiche (aerei, navi, pedaggi autostradali, carburante) e di fruizione dei servizi turistici (alberghi, pensioni, bed and breakfast – che poi, in italiano, sarebbe letto e colazione -, parcheggi, ristoranti, lidi, bar, discoteche e quant’altro).

Inoltre da un lato chi parte sogna di arrivare in posti da urlo, densi di tramonti spettacolari, di acque di mare invitanti, di cocktails da sorseggiare sotto un’ampia palma, distesi a contemplare la bellezza di Madre Natura, mentre dall’altro lato ci si accorge, invero, che tali posti sono letteralmente presi d’assalto, in contemporanea, da una moltitudine di gente, tutta con la comune intenzione di fare casino, di divertirsi (così, a prescindere), di superare (come si direbbe in tema di immissioni) la soglia della normale tollerabilità, facendo tesoro dell’antico adagio latino semel in anno licet insanire (ossia, una volta all’anno è lecito impazzire).

Si legge spesso, su Internet (che ha ormai preso il posto dei giornali cartacei), di località isolane o di altro tipo che non riescono più a gestire l’afflusso turistico, divenuto massiccio e, quindi, ingovernabile, così come si legge spesso che l’eccessivo afflusso turistico causi notevoli problemi ai territori presi di mira (e, quindi, anche alle persone che vivono in quei territori, non potendo chiaramente essere considerato turista colui che si sposti per qualche chilometro per andare a fare un bagno al mare, non disponendo di una seconda casa e con la prima casa un po’ lontana dalla battigia).

Proseguendo nell’analisi ci si trova di fronte a persone che con i turisti ci lavorano e ci guadagnano, facendo di tutto per assecondare le esigenze dei loro clienti e trascorrendo le loro faticose giornate per compiacerne le volontà (operatori turistici – che sarebbero, in anglosassone, i tour operators -, agenzie di viaggi – sempre in anglosassone, travel agencies -, gestori di ristoranti, bar, hotel, discoteche) ed a persone che non solo con i turisti non hanno nulla a che spartire, ma che, anzi, sono infastidite dagli stessi e a causa dei medesimi ricevono danni (e non solo per ipotetiche disavventure che i suddetti potrebbero causare, es. incidenti stradali dovuti al maggior traffico, all’uso di sostanze stupefacenti, psicotrope o alcooliche, risse, disordini vari), come sono quelli, ad esempio, dello sconsiderato già riferito aumento dei prezzi al consumo, specie in occasione dei periodi di alta stagione.

Quando si parla di turismo molte persone vedono solo il lato positivo, quello, cioè, del turista, ma non vedono anche quello negativo, quello, cioè, dell’abitante normale di un territorio (che avrà sì piacere di sapere e di vedere che la propria terra sia famosa, conosciuta e apprezzata dai propri simili, ma che dovrà confrontarsi con l’imposto cambiamento delle proprie consuete abitudini di vita: parcheggiare la propria vettura, parlare con i propri amici, godersi il sacrosanto e meritato silenzio notturno, poter fare il bagno al mare senza dover sgomitare, poter fare una passeggiata in montagna senza doversi mettere in fila come si fa alle Poste, ecc.).

Si sta parlando, tra l’altro, di milioni di soggetti che in vita loro non hanno quasi mai viaggiato (le persone in età non più albare, della vecchia guardia) o che, comunque, amano intrattenersi solo con persone del luogo; persone che per uscire ed andare a cenare in un ristorante o a mangiare un gelato devono spendere il doppio o il triplo di quanto spendono, per fare la stessa cosa, in gran parte dell’anno (inverno, primavera e autunno rispetto all’estate, stagione calda anche sotto il profilo dei prezzi) ovvero tutto l’anno (es. una località prima anonima, poi divenuta improvvisamente famosa, come qualche capitale italiana o europea di cultura); persone che per poter acquistare un qualsiasi oggetto (in una bottega o, al giorno d’oggi, in un qualunque supermercato) o per bere un caffè al bar debbono attendere tempi biblici, in considerazione della famelica orda di personaggi che si muove all’interno di queste strutture consumistiche, che sono chiamate a dare continuamente da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, nemmeno fossero Istituti di Opere pie.

Ci si riferisce, se ancora qualcuno non l’avesse capito, a quasi tutta la popolazione italiana, composta, in prevalenza, di impiegati (dipendenti pubblici), operai (lavoratori privati subordinati) e pensionati (non più lavoratori, ma che hanno lavorato per tanti anni prima dell’agognato pensionamento).

Costoro non solo non ricavano niente dal fenomeno turistico (se non il chiasso, lo sconquasso, lo schiamazzo, il disturbo, il peggioramento del loro territorio), ma se vogliono godersi la loro terra sono costretti a non poterlo fare, dovendo o sopportare il tutto con grave ed evidente disagio oppure muoversi verso altri territori, a loro volta oggetto passivo di migrazioni uccellatorie, in un turbinio che, attualmente, non ha fine.

Quali, quindi, le possibili soluzioni di siffatta problematica?

Sul tappeto di soluzioni ve ne sarebbero tre.

La prima sarebbe quella di impedire il turismo migratorio ai soggetti non facoltosi, come succedeva un tempo, quando viaggiavano solo i Signori (nobili, proletari d’alto bordo arricchiti, latifondisti); così facendosi si diminuirebbe consistentemente il numero di persone che si spostano, ma tale soluzione non sembra praticabile, perché genererebbe un diffuso malcontento e causerebbe verosimilmente reazioni popolari scomposte, oltre a denotare possibili profili di incostituzionalità, vieppiù tenendo a mente il principio di libera circolazione di persone e cose (merci) nell’ambito quantomeno dell’Unione Europea; tuttavia tale soluzione risulta prescelta da alcuni paesi, ad esempio del sud est asiatico, che non consentono ai loro cittadini di lasciare il loro paese senza un’apprezzabile e comprovata ragione di fondo (famiglia, lavoro, salute), nella quale non rientra quella turistica, ritenuta immeritevole di protezione.

La seconda sarebbe quella di permettere l’indiscriminato accesso turistico a tutti e dovunque, incrementando le strutture ricettive; anche tale soluzione non sembra percorribile, sia perché molti territori sono ormai al limite dell’edificabilità, sia perché così operandosi o si produrrebbe un ulteriore incremento di prezzi oppure si aumenterebbero la concorrenza e la competizione già presenti, con un livellamento verso il basso dei prodotti e dei servizi turistici.

Rimane, quindi, solo la terza soluzione, mediana: il contingentamento del turismo, con limitazione dei voli (soprattutto quelli a basso costo – low cost, nell’ormai consueto quanto fastidioso vernacolo anglosassone -), delle navi, degli accessi con le macchine nei luoghi ad alta densità turistica; tale soluzione è stata già adottata, ed anche vari anni fa, da alcuni comuni ricadenti nei territori di isole del Sud Italia, nelle quali le navi non possono portare, in sede di sbarco, più di tot persone al giorno e non possono effettuare più di tot tratte al giorno (ugualmente dicasi per gli aerei, nel caso in cui tali isole fossero provviste di un aeroporto); inoltre i vacanzieri non possono ivi recarsi con la macchina, a meno che non dimostrino, alle autorità locali, di aver prenotato una struttura ricettiva per almeno sette notti consecutive.

Ecco: forse questo sarebbe il rimedio meno peggiore, perché quello migliore sarebbe: 1) smetterla di pensare che chi non viaggi sia necessariamente uno sfigato; 2) smetterla di postare continuamente, sulla rete sociale – in anglofono, social network -, riproduzioni fotografiche di posti di mare, di acque cristalline, di costumi striminziti indossati da ragazze o donne che si dipingono fortunate e piene di comodità, che suscitano l’appetito degli idioti che le seguono (followers, nel Regno Unito e nei paesi a stelle e strisce), che mostrano agli altri di condurre apparentemente un’esistenza perfetta; 3) smetterla di essere e di sentirsi comunitarizzati, globalizzati, rinchiusi in un permanente gregge di stupide pecore stressate e ansiose, che non comprendono (o che non rammentano) le basilari fondamenta della Vita (che non sono i computers, i cellulari, le scarpe, le borse, i soldi, i gioielli o i vestiti di marca, ma la personalità umana, la genialità, l’ingegno, la comunicazione semplice, la genuinità dei comportamenti, e via discorrendo).

Siamo in piena confusione: col turismo di oggi non si capisce proprio un bel niente, ognuno può andare dove vuole e quando vuole e tutti fanno più o meno le stesse cose, come i pecoroni: un bel vedere, davvero.

Ed allora, andando un po’ indietro nel tempo, di fronte a cotanta e cotale confusione si palesano addirittura cristalline le parole pronunciate, negli anni Ottanta del secolo scorso, da un mitico inviato sportivo di un’assai nota trasmissione calcistica nazionale, il quale, a commento di una partita della formazione partenopea, ebbe a dire: “E se la montagna non va da Maometto, anche quest’anno Maradona rimane a Napoli. A voi la linea”.

Avv. Sandro Castro

Amministrativista – Civilista – Laburista

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