Zes, opportunità e sviluppo per il Mezzogiorno: quali prerogative e vantaggi

by fastadmin | 1 Febbraio 2020 22:17

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Dopo varie descrizione dei contorni macro-economici in cui si colloca la crisi economica del nostro Paese, un’opportunità di sviluppo per il sud Italia e volano per  le imprese locali, sarebbe quello di adottare il modello della Special Economic Zone (SEZ o ZES, italianizzando), intrapreso dalla Repubblica popolare cinese a decorrere dal 1978. Tale modello consiste nell’ individuare nel territorio di uno Stato una vera e propria “zona franca” in cui la Pubblica Amministrazione e il sistema delle regole giuridiche deroghino dal sistema generale e sperimentino un metodo originale di sviluppo economico e sociale di quel territorio: uno Stato innovatore, quindi, come volano e ispiratrice di slancio imprenditoriale .

Non deve disorientare lo spunto d’immaginazione, soprattutto confrontando le varie realtà specifiche, ne al contrario, bisogna essere ossessionati dal “mito” delle startup, ma occorre allargare lo sguardo e sviluppare un ecosistema innovativo nel quale le imprese appena nate riescano a crescere attraverso un’interazione tra investimenti pubblici e privati, nell’economia nazionale.

 

Ciò che conta, é prefigurare una prospettiva e un risultato di fondo. Ciò obbliga a una conseguente analisi sull’esistente, sui vincoli finanziari e istituzionali che impediscono di “volare” come hanno fatto molti Paesi, non solo la Cina, negli ultimi decenni. Non a caso, Istituzioni, Camere di Commercio, Confindustria, Sindacati e Comuni, stanno elaborando piani d’azioni, affinchè il futuro commerciale del Mezzogiorno sia sempre più espandibile.

 

Come è noto, con la definizione delle Zone Economiche Speciali (ZES) arriva un folto pacchetto di agevolazioni per lo sviluppo di aree speciali e premesso che:

Le Zone Economiche Speciali (ZES) sono aree geografiche circoscritte nell’ambito delle quali l’Autorità governativa:

  1. applica una legislazione economica differente rispetto a quella applicata nel resto del Paese;
  2. offre incentivi a beneficio delle aziende, attraverso strumenti di agevolazioni fiscali/finanziarie e semplificazioni amministrative.

L’OCSE ha identificato quattro diversi tipi di zone economiche speciali:

  1. I) ci sono le “zone di libero scambio” (free trade zone), presso i porti e gli aeroporti, che offrono esenzioni parziali o totali sui dazi all’import o all’export di quei beni che vengono riesportati;
  2. II) ci sono le “export processing zone”, che agevolano sì la riesportazione dei beni, ma solo di quelli che, venendo lavorati in loco, assumono un significativo valore aggiunto;
  3. II) ci sono le “zone economiche speciali vere e proprie”, che offrono appunto un pacchetto variegato di incentivi, agevolazioni e semplificazioni amministrative alle imprese che stabiliscono lì la propria sede;
  4. IV) ci sono le “zone speciali industriali”, che limitano le agevolazioni a un settore specifico (spesso si tratta del tessile, oppure dell’Ict) per il quale costruiscono anche infrastrutture ad hoc.

Attualmente, secondo i dati della Banca Mondiale, nel mondo si contano quasi 4mila Zone Economiche Speciali, il 43% delle quali sono in Asia; l’Europa ne ospita circa il 20% (ad es. Lettonia, Spagna, Gran Bretagna e Croazia), con la Polonia in prima fila  (circa 14).  Cina e a Dubai sono comunque gli esempi più noti.

La Zona Economica Speciale:

  1. I) deve essere istituita all’interno dei confini statali, in una zona geografica chiaramente delimitata e identificata;
  2. II) può essere composta anche da aree territoriali non direttamente adiacenti,purché abbiano un nesso economico funzionale;

III) deve comprendere un’area portuale, collegata alla rete transeuropea dei trasporti (TEN- T), con le caratteristiche stabilite dal regolamento (UE) n. 1315/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2013.

La prospettiva è di istituire in Italia, le seguenti ZES.

        *     Porto di Cagliari – da definire. 

Una volta che le singole realtà regionali avranno definito confini e il piano di sviluppo di ogni singola ZES, sarà per ognuna approvato un DPCM di istituzione. 

Va da sé, che questa opportunità, può attrarre nuovi investimenti, soprattutto nel campo della logistica nelle aree retroportuali e manifatturiere. Misure adottate nell’interscambio, rafforzerebbe la possibilità per le regioni del Sud di proporsi come piattaforma logistica per i commerci con  l’Africa , Cina e nord Europa. 

 

In contrapposizione alle varie opportunità, ulteriori criticità ,vengo evidenziate dai Sindacati , in special modo dalla CISL che in una nota del 13/10/2017 A. Colombini Segretario Confederale, evidenzia alcuni elementi da considerare;

In particolare  si è chiesto di prestare attenzione a: 

Inoltre sono state evidenziate  alcune importanti avvertenze relative al lavoro: 

Ultima, ma per noi importante, è stata la richiesta di individuare una modalità stabile  di confronto con il sindacato e le rappresentanze datoriali sia a livello nazionale che nelle singole ZES, in tutte le fasi, a partire da quella in corso sulla individuazione delle aree, ma anche  nella successiva fase di attuazione. 

 

-Non è chiaro, quindi, perché i due capitoli, città e aree interne siano stati trattati in parallelo, con un certo sbilanciamento a favore delle città, mentre alcuni elementi, come il riordino legislativo e l’ipotesi di interventi fiscali o di defiscalizzazione andrebbero affrontati in forma coordinata, come anche alcuni interventi infrastrutturali, per favorire una migliore interconnessione tra le aree.

E’ importante, infine, fare presente che nel documento non si fa alcun riferimento alla ZES (Zone economiche speciali) mentre la Cisl ritiene che, questo dispositivo di sviluppo territoriale collegato ai porti principali del Mezzogiorno ed ai territori che gravitano attorno ad essi, sia uno strumento importante per favorire la centralità del Sud e dell’Italia nel mediterraneo e promuovere insediamenti produttivi sostenibili che valorizzano la qualità del lavoro. Pertanto le ZES vanno sostenute e la loro piena attuazione va perseguita e monitorata. 

( v. Zone economiche speciali-  incontro con il Ministro per la coesione territoriale ed il Mezzogiorno,-Osservazioni su bozza del Piano Italia del PD, di A. Colombini.)

Oltretutto, l’istituzione di una Zes porta come conseguenza principale la possibilità per le imprese di sfruttare importanti agevolazioni fiscali  e di beneficiare di rilevanti semplificazioni di carattere amministrativo e burocratico.

In Italia, con il d.l. n. 91/2017 (c.d. decreto sud”) è stata prevista l’applicazione, in relazione agli investimenti effettuati nella ZES, di un credito d’imposta proporzionale al costo dei beni acquistati, entro il 31 dicembre 2020, nel limite massimo, per ciascun progetto d’investimento, di 50 milioni di euro.

Per ottenere questi benefici, però, le imprese dovranno mantenere le attività nella ZES per almeno sette anni successivi al completamento dell’investimento oggetto delle agevolazioni, pena la revoca dei benefici concessi e goduti, e non dovranno essere in liquidazione o in fase di scioglimento.

C’è, pertanto, del solido realismo nell’esposizione del “futuro auspicabile”. Nè potrebbe essere altrimenti; Le forze motrici messe in campo sia nel pubblico che nel privato, dimostrano che sono presenti energie intellettuali capaci di dire una parola importante sui nodi della “riforma” da tanto tempo auspicata e mai compiuta.

Alla luce di tanto, in conclusione, si auspica che venga posto in essere e vagliato molto attentamente, un piano strategico di sviluppo , capace di tenere insieme le aree e gli interessi economici/territoriali .

Le ZES rappresentano un’opportunità speciale che va assolutamente colta e alimentata. Non resta, quindi, che attendere le scelte del Governo in modo da iniziare a dare realmente vita alla manovra e ad entrare nel merito delle scelte da compiere.

di Maria Carla Ferrara

 

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